sabato 6 luglio 2013

6 LUGLIO. LUCKY PETERSON, ROBBEN FORD E ROBERT CRAY CHIUDONO IL SIPARIO SU PIAZZA DEL DUOMO


di LUIGI SCARDIGLI

Domani sera quinta e ultima serata del blues con un triplice tributo al marchio del Festival

PISTOIA. Il meglio, deve ancora venire. Ma l’attesa è contemplabile, ragionevole, perché stasera, piazza del Duomo, la Piazza del Blues, torna ad essere abitata da i suoi più naturali affittuari. E ha fatto bene, Giovanni Tafuro, in questa edizione sperimentale, la 34esima, in ordine di tempo, ad affidare la chiusura, dopo i voli progressive, quella di domani sera, a tre vere e proprie divinità del firmamento musicale: Robert Cray, Lucky Peterson e, a mio avviso uno dei migliori al mondo, Robben Ford.
Non ci saranno le seggioline – voglio sperare – in piazza. Anche perché, restare seduti quando suonano i tre bluesman sopracitati, più che un esercizio di privazione, è una scommessa. Persa. L’organizzazione, in virtù di non so quali coefficienti, credo che abbia scalettato le apparizioni in quest’ordine: Lucky Peterson, Robben Ford e Robert Cray.

Il primo, il meno vecchio dei tre (non ha ancora 50 anni), un chitarrista vero e proprio non è, ma solo perché sul palcoscenico può tranquillamente esibirsi imbracciando la sei corde come seduto davanti ad una tastiera. Newyorkese di Buffalo, Fortunato Peterson appartiene alla patria del blues perché se si suona, tutta la vita, R&B, gospel e rock and roll, l’equazione produce un risultato ineludibile, il blues. Con le tastiere, tanto per fare un nome su tutti, Peterson ha accompagnato una regine che si chiama Etta James; con la chitarra, invece, è stato insieme a James Brown.
Di Robben Ford – vorrei lasciarmi in fondo, come il dolce, ma rispetto la volontà palinsestica di Tafuro – credo possa bastare ricordare che con Mike Manieri è stato uno dei fondatori degli Yellowjackets. E qui, potrebbe terminare l’articolo, perché molto altro da aggiungere non ce ne sarebbe. Proseguo per dovere di informazione. La sua prima apparizione, pensate, risale al 1969, quando diciottenne aprì il concerto di Charlie Musselwhite, che con Ben Harper ha dato il via a questa 34esima volta del Festival. Da quel giorno, Robben Ford non ha più smesso di incantare la folla, con un vertice, ideale, forse rintracciabile, ed è quello che risale al 1986, quando Miles Davis lo volle con sé nel suo tour probabilmente più prestigioso, una convocazione-promozione nell’olimpo motivata dalla poliedricità sonora di Robebn Ford, abile e dunque arruolabile, tanto come patrimonio blues che jazz. Un fusionista elasticissimo, divertente, elegante, titolare di uno dei motivi più arrangiati da parte del pianeta chitarristico, Talk to your daughter. Per lui, non a caso, la Dumble ha progettato e costruito degli amplificatori originalissimi e la Fender una sei corde con il suo nome, Robben Ford Signature. In piazza del Duomo, però, domani sera, è facile che il suo strumento sia una bianca Fender Telecaster o un Gibson del 1957.
Non ancora trentenne, Robert Cray convince Albert Collins a prenderlo nella dovuta considerazione per quella particolare accordatura in re minore, una novità tanto geniale quanto assoluta che fusa e confusa con tutto il resto del portentoso bagaglio artistico suggerisce ad Eric Clapton, nella sua August (1986) di farne una cover. Questo portentoso avanzamento carri eristico induce Robert Cray a lasciarsi dietro le spalle il blues delle origini per coniarne uno rinnovato, un brevetto così fortunato che ha condizionato – e succede tutt’ora – il resto delle generazioni. La scelta è costellata di gradimenti, successi discografici, Grammy: se ne aggiudica 5, un’incoronazione che gli vale l’esibizione al fianco di B.B. King, John Le Hooker, Tina Turner, Buddy Guy, Eric Clapton.
Domani sera, Robert Cray, potrebbe salire sul palco e stare un paio d’ore a guardare negli occhi tutti quelli che aspettano che suoni senza però che lo faccia: potrebbe indicare, uno ad uno, i volti degli spettatori più simpatici e distribuire, personalmente, un sorriso smagliante ad ognuno di loro. E poi andar via.
Come Robert Cray, probabilmente, non lo saprebbe fare nessun altro.

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[Sabato 6 luglio 2013 | 17:45 - © Quarrata/news]

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