mercoledì 3 giugno 2015

“LETTERA A UNA REPUBBLICA DEFUNTA”



di Edoardo Bianchini
 
Un 2 Giugno ma in nome di che cosa? Le tappe di una distruzione della democrazia in Italia


Effetto rete...
SI FESTEGGIA la Repubblica. Una repubblica nata male, con un referendum che turbò l’anima e il cuore degli italiani; e finita male grazie ai campioni della democrazia e della questione morale: gli ex-Pci, in testa ai quali si trovò, per materia gravepiena avvertenza edeliberato consenso, un uomo di cui è difficile avere stima, sia per i suoi applausi ai fatti di Budapest, sia per aver travalicato i poteri concèssigli e averci dato in pasto tre governi-massacratori illeciti perché non votati da nessuno di noi elettori-spennati dalla politica, dalla sua corruzione e dalle sue spese che continuano, ancor oggi, senza freno.

Monti, Letta, il pupàttolo sono qui e hanno combinato il dissesto a cui stiamo assistendo, pur se i lacchè di regime – dalla stampa asservita, ai neo-politici eletti e rieletti anche dispetto e spregio delle leggi e della loro correttezza morale – ci stanno bombardando con i falsi spot sulla ripresa economica: che non ci sarà. Mai. Finché non usciremo dall’€uropa della Merkel e dei tedeschi che hanno sempre provocato dissesti, danni e guerre senza riceverne mai altro che (almeno alla fine) elogi. Perché piacciono alla finanza e a chi ha quattrini a danno di tutto e di tutti.
Una scheda del referendum

Potevo dire, anche, Lettera a una Repubblica mai nata. Ma sarebbe stata una mancanza di precisione: nata, la fu, questa Repubblica – almeno fino a Monti. Pur se stentatamente.

Poi defunse sotto la mannaia della Corte Costituzionale che ci avvertì: «Il Parlamento? Illecito». Ma qualcuno ha fatto qualcosa, forse? Nemmeno per sogno. Siamo in Italia.

Poi arrivarono i tre presidenti del consiglio (tutto minuscolo… e che premier? I premier sono quelli inglesi, non i presidenti del consiglio – minuscoli – degliitaliani, brava gente…).

Poi salì al Colle uno che, pur avendo definito illecito il nostro parlamento, da quel parlamento e non solo si fece eleggere e se ne andò a dirigere l’ambaradàn. Rendiamo grazie al Signore!

Devo far finta di credere a una sostanziale buffonata che nemmeno i ragazzini metterebbero in ponte quando, giocando alla guerra, cercano di imitare i grandi?

C’era una volta una legge elettorale proporzionale che aveva un sacco di mende e di pecche, ma che costringeva la gente a pensare col cervello, a prendersi responsabilità di crisi o di retta dei governi, ma che – soprattutto – non permetteva a certi bastardi di fare come vogliono senza ascoltare nessuno e andando in tasca a tutti.

Venne l’idea, al fine di rendere stabili i governi, di cambiare quella locomotiva a vapore, ma sicura e indistruttibile: si chiese, però, al popolo – primo inganno – di darne piena delega al governo di allora.
Quando i russi invasero l’Ungheria...

Ricordo che lavoravo al Tirreno e avevo la responsabilità della pagina di Quarrata-Agliana-Montale. Il capo redattore, Giuliano Fontani, parlando con me, mi chiese come avrei votato: gli risposi che io, di deleghe, non ero disposto a darne. A nessuno, tantomeno a un governo. 

Giuliano mi disse che stavo sbagliano.
Nacque la prima riforma elettorale con lo scorporo-correttivo da vomito per non dire, pistoiesemente, daonco. E iniziarono i guai. Ve lo siete scordato? Era appena vent’anni fa.

Sono durati i governi nel frattempo dopo quella brillante riforma? O si sono sfasciati in tutti i modi, perfino con il primo inciucio incostituzional-casino Prodi-D’Alema? anche baffino non era stato votato. E quanti ne abbiamo visti cadere prima, durante e dopo? E poi… porcelli, maiali, suini elettorali: tutto è diventato una norcineria istituzionale. Fino alle abnormità di oggi. Impresentabili: accettabili solo al Partito Dominante o Democristiano – macché democratico…!
Il francobollo russo di Palmiro Togliatti

Tre anni dopo la delega al governo per la riforma della legge elettorale, Giuliano Fontani venne da me e mi disse: “Credo che tu avessi ragione… La legge è stata un troiaio”.

So di avere un pessimo carattere. So di non essere bravo come tanti compagni – anche quelli che, pur tenendo la foto di Palmiro sulla scrivania dell’ufficio, quando furono chiamati al mio processo del lavoro contro Il Tirreno, vennero a dire che non mi avevano mai visto, per 43 mesi di fila, a fare la pagina di Quarrata-Montale-Agliana come redattore ordinario: cosa, invece, accertata in pieno dal dott. Amato, oggi presidente del Tribunale di Pistoia, ma allora giudice del lavoro.

Ma so anche di non essere demente, né cretino né senza cervello. Non ho fatto il 68 e me ne vanto. Non sono un compagno di oggi e non mi vergogno a dire di essere stato un craxiano convinto e di rimpiangere ancora Bettino. Mandatemi pure al confino!
Per questo non posso festeggiare una repubblica che è defunta. Una repubblica che lascio a Google e agli italiani che vivono di Facebook e di calcio.

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