domenica 1 aprile 2012

«HUIS CLOS», E I PROTAGONISTI NON SANNO TRATTENERE LE LACRIME


di Luigi Scardigli

Danza esasperata dalle note di un tango triviale, osceno, fisico, peccaminoso, truce, violento, eroticissimo, nel cerchio infernale di un ‘luogo-non luogo’

La morte non ammette repliche e, siamo onesti, anche se ne concedesse qualcuna, nessuno di noi, una volta assente, avrebbe la minima e pallida intenzione di riprovare. Soprattutto perché non si può. E non si potrà mai. Se a questo concetto, difficilmente opinabile, sancito da Jean Paul Sartre con il dramma A porte chiuse (Huis clos, titolo originario), aggiungete poi l’intuizione, difficoltosa, ma geniale, di Marine Galstyan, la regista dell’audace trasposizione, l’equazione, dimostrabile con non poche difficoltà, è quella dello spettacolo andato in scena ieri sera al teatro Manzoni di Pistoia, in una prima nazionale-sperimentale di cui, facile profetizzare, si risentirà parlare. Parecchio.

È vero, la mattatrice del dramma-coreografia, è stata Francesca Nerozzi, qualche centimetro sopra la sontuosa performance degli altri anche, forse, perché giocava in casa, Pistoia, una città che ha tardato un po’, ad essere onesti, a dare spazio ad una delle sue artiste più brave e serie, duttili e belle, poliedriche e vere, cresciuta e plasmata da Loris Gai e poi perfezionatasi a Roma, dove nonostante un nobilissimo trascorso nella danza, ha preferito resettare tutto e contaminare e contaminarsi con tutto il resto che fa spettacolo.
Limitare il giudizio della rappresentazione a Francesca Nerozzi, però, sarebbe, oltre che ingeneroso nei confronti degli altri, anche artisticamente miope, perché nessun dettaglio del puzzle può essere omesso o non decantato a dovere, pena lo svilimento di un’architettura coraggiosa.
A cominciare, seguendo l’ordine della rappresentazione, da William Pagano, il cameriere, il Caronte sartriano, colui che ha le chiavi della porta d’ingresso dell’inferno nel quale i tre protagonisti saranno condannati a sopravvivere per il resto della loro eternità, un Lucifero anfetaminico che riesce perfettamente a fare ‘i disonori di casa’, illustrando agli eterni inquilini tutte le controindicazioni di quella lugubre dimora, senza finestre e con il solo arredo di tre sedie, metalliche, che paiono ricordare quelle delle torture elettriche, ma senza corrente.
E poi i coniugi Galstyan, Marine e Sargis: la prima – Ines Serrano, donna vissuta d’espedienti sentimentali – regista e interprete; il secondo – Giosef Garcin, un improbabile carioca amante e amato – unico uomo infernale che ha anche curato le minimali coreografie, che si sono potute avvalere di un fondo palco nel quale ha continuato a scivolare l’esistenza delle sopravvivenze. Francesca Nerozzi invece è Estella Rigault, una parigina che ha confuso l’amore con l’agiatezza e che, quasi per contrappasso, sarà condannata ad amare un uomo che la detesta.
Il bello e lo stratosferico – sul palco e a recensirlo – viene ora, quando dopo una lunga premessa, che poi risulterà indispensabile, i tre dannati inizieranno ad interagire tra loro, usando il linguaggio che conoscono meglio, la danza, esasperata dalle note di un tango triviale, osceno, fisico, peccaminoso, truce, violento, eroticissimo, la vera linea infernale di un luogo-non luogo, l’inferno delle tre sedie, quasi volesse essere un retaggio biblico ed evangelico del padre, del figlio e dello spirito santo, la triade paradisiaca che nell’occasione si sporca e contamina l’anima per riuscire a sopravvivere al nichilismo infernale.
La platea del Manzoni, gremita ogni oltre ragionevole rosea aspettativa, ha seguito in religioso silenzio – bel paradosso, per una rappresentazione infernale – l’intero dramma-coreografia, per poi liberare tensioni ed emozioni sull’atto conclusivo, un tripudio meritato che ha ulteriormente ingigantito l’emotività dei protagonisti, che non hanno saputo trattenere le lacrime.
Solo allora, le porte del Manzoni, si sono riaperte, consentendo al pubblico di defluire: fino all’ultimo istante, però, tutto si è svolto a porte chiuse, senza bisogno di alcuna diabolica intimidazione.

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Foto di Luigi Scardigli.
[Domenica 1° aprile 2012 - © Quarrata/news 2012]

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