mercoledì 8 agosto 2012

RIFLESSIONI SU MAXI-COMUNI, MAXI-PROVINCE E PICCOLE REGIONI


PISTOIA. Patrizio La Pietra (Pdl), a proposito del riordino e della razionalizzazione degli enti, scrive:

In un momento di continue proposte su come riorganizzare l’assetto istituzionale del nostro paese, con la nascita di comitati, con riflessioni ad ogni livello, vorrei provare anche io a dare un contributo alla discussione in merito, cercando di essere travolto il meno possibile dal comune pensiero che sembra il motivo di fondo di ogni discussione: “niente funziona, cambiamo tutto”. Il che, se lo permettete, lo ritengo, personalmente, un atteggiamento un po’ “grillino” e “populista”.

Ma andiamo per ordine. È in corso un acceso dibattito sul futuro delle province, che vede posizioni anche diverse all’interno dello stesso Pdl. Credo che la vera questione, non sia se stare da una parte o dall’altra (con Lucca o con Firenze), dibattito francamente non molto appassionante.
La vera questione, sulla quale vale ancora la pena continuare a discutere, è su quale tipo di ente diventerà la provincia, indipendentemente dalla sua grandezza e dai territori interessati.
Le province, se da una parte, possono e devono essere riorganizzate, tenendo conto di parametri oggettivi di popolazione e ampiezza territoriale, e ottimizzate cercando di risparmiare risorse (risparmio che già potrebbe essere ottenuto con la chiusura di Ato, Consorzi, Agenzie, etc., ridando le competenze alle stesse province) dall’altra, si devono mantenere due principi fondamentali: la rappresentanza democratica, quindi l’eleggibilità dei propri organi di governo da parte dei cittadini, e la programmazione sopra comunale di competenze specifiche.
Non è possibile, ad esempio, lasciare la programmazione scolastica superiore ai comuni, troppo piccoli per scelte non legate strettamente ai propri confini, così come darla alle regioni che non sarebbero in grado di cogliere le specificità del territorio.
Questo vale anche per l’ambiente, la viabilità, il lavoro, i rifiuti.
La trasformazione delle province in enti di secondo livello con “consigli” nominati dai sindaci non può di per sé garantire un giusto equilibrio delle scelte di programmazione, e non permetterebbe ai cittadini di esprimere, tramite il proprio voto, nessun giudizio sull’operato dell’ente.
Comunque tutto ciò non porterà nessun sostanziale risparmio alle casse pubbliche, se non quello dei costi relativi a consigli e giunte, a scapito di un vuoto partecipativo che personalmente ritengo dannoso alla tenuta del sistema democratico del nostro paese.
Auspico che alla fine si possa fare una scelta lungimirante sul futuro delle province, che si sappia mantenere un giusto equilibrio fra efficienza e rappresentanza democratica e si valorizzi così l’identità dei territori che rappresenta, da sempre, la vera ricchezza del nostro paese.
A questo si aggiunge la questione legata all’unificazione dei comuni. Anche questo è tema estremamente delicato a cui si lega, anche in maniera maggiore rispetto alle province, l’identità territoriale. Quest’ultimo elemento, a mio avviso, non è secondario, anzi fondamentale della tenuta sociale e economica dei territori.
Molto spesso la ricchezza di una comunità, trae vitalità proprio da queste differenze territoriali con le loro tradizioni, le loro culture, da cui poi sono nate le economie e non ultime le centinaia di prodotti eno-gastronomici che uniti alle specificità paesaggistiche del territorio rappresentano una ricchezza, soprattutto sul piano turistico, ancora non bene e del tutto sfruttata.
Tutto questo sotto l’ombra dei mille campanili.
Chi vuole un unico comune, lo giustifica con una maggiore efficienza dei servizi, un miglior rapporto con i cittadini. Tutte argomentazioni legittime.
Ma personalmente il problema credo vada inquadrato sotto un’altra ottica.
Ci sono centinaia di piccoli comuni che sono un esempio di efficienza, così come ce ne sono altri che sono il massimo dell’inefficienza e dello spreco. Questo non dipende dalla loro dimensione ma dalla capacità di governo che vi si esprime, quindi non è solo un problema di quantità (la grandezza o meno del comune) ma di qualità, rappresentata dal sistema di governo che agisce sul territorio comunale e non solo. Però è giusto, anche, ricordare che molti sindaci attuali sono impossibilitati a governare perché si sono ritrovati enti completamente disastrati dal punto di vista finanziario e svuotati dal punto di vista della programmazione.
Sia ben chiaro, non voglio puntare il dito verso quello o quell’altro sindaco, ma verso un sistema, che dalla Bassanini in poi, ha consegnato di fatto il potere degli Enti Locali nella mani dei funzionari e dei dirigenti, trasferendolo dalla politica alla burocrazia.
Non a caso, passano i sindaci, i presidenti, le giunte i partiti, ma i funzionari sono sempre lì al loro posto (ma questo è un altro discorso).
Su questo tema credo sia giusto aprire un serio confronto.
Comunque per tutti i temi su cui è giusto confrontare le varie tesi, l’importante è farlo con chiarezza di obbiettivi e soprattutto liberi da ogni condizionamento.
In ultimo, mi si permetta di introdurre una piccola provocazione.
Nel caso in cui la strada per organizzare al meglio i servizi ai cittadini sia quella di unificare i comuni, di diminuirne considerevolmente il numero a favore di enti più grandi; sia quella di creare maxi province con territori sempre più estesi, con la consapevolezza però che questo potrà creare un maggiore rischio di allontanamento, anche materiale, dei cittadini dalle istituzioni, mi domando se le regioni così come le conosciamo adesso hanno ancora senso di essere.
Con regioni che avranno meno abitanti di molte province, con regioni dove vi saranno 3-4 maxi province, perché allora non rivedere la composizione delle regioni, accorpandole in base, ad esempio alle circoscrizioni del voto delle europee dove sono previste 5 maxi regioni.
Anche questa può essere uno spunto di riflessione al pari degli altri, e, forse, è proprio mettendo le mani nell’organizzazione delle regioni che potremmo avere quei risparmi sia finanziari che di efficienza organizzativa, che oggi tutti noi agognano.
In conclusione, la giusta riforma dovrebbe avere dei parametri soprattutto qualitativi e non quantitativi e partire prima di tutto dall’eliminazione di tutte le quelle strutture che nel tempo si sono create, sovrapponendosi agli enti locali, creando sprechi e a volte confusione e disagio per i cittadini. Solo successivamente si dovrebbe procedere al riordino di Comuni, Province e, perché no, anche di regioni.
Ricordandosi sempre che una cosa sono i costi della politica (che devono essere tolti quando sono sprechi) ed una cosa sono i costi della democrazia che devono essere garantiti sempre e ad ogni livello.
Patrizio La Pietra
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[Mercoledì 8 agosto 2012 - © Quarrata/news 2012]

1 commento:

  1. Le valutazioni introdotte sono certamente condivisibili, una su tutte, la fagocitazione della politica da parte della burocrazia in seguito allo sciagurato riordino di Bassanini. Purtroppo, adesso il tempo è scaduto e non si potrà usare il bisturi, ma la scure.
    E, peraltro, non si potrà rimandare oltre. Il danno deve essere fermato anche considerando il danno indiretto di effetti indesiderati. La democrazia sarà salva. Dura lex, sed lex.
    Complimenti per l'apprezzabile intervento.
    MDB

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