di LUIGI SCARDIGLI
PISTOIA. Il teatro Manzoni, ieri sera, era metà vuoto. O metà pieno,
dipende dal vostro pessimismo-ottimismo. Per quelli che son restati a casa,
nonostante avessero da tempo prenotato e acquistato il biglietto, la neve,
improvvisa, soffice, ma naturale, molto naturale, ha fatto sì che A porte chiuse, il dramma di Sartre
riadattato per il teatro dall’armena Marine Galstyan, lo fosse letteralmente.
Per tutti quelli che non se lo son voluti perdere invece,
nonostante, forse, l’avessero già visto con la reginetta indigena Francesca
Nerozzi, le porte del teatro si sono aperte e quelli che sono riusciti ad
entrare si sono lasciati conturbare dalle danze, tribali ed erotiche dei due
coniugi, Marine e Sargis Galstyan, costretti, come la loro coinquilina
infernale, Clara Brajtman, poliedrica e diabolica francesina, a vivere uno
spazio surreale di pura espiazione.
Il nocchiero dell’aldilà è Lorenzo Girolami, pistoiese ad
origine scarsamente controllata, per sua fortuna, un altro allievo di Monica
Menchi e del Dams di Bologna, che conduce in questo inferno di rimpianti e
rimorsi i tre inquilini coatti, costretti a vivere l’incognita eterna con l’illusione
di riuscire a trovare il modo e la maniera per come riscendere sulla terra.
Valentina Nesti, Martina Danesi e Gabriele Nesti si vestono
e si spogliano per indossare gli abiti dei coprotagonisti di questo corollario
di una tortura temuta ma non sofferta e per questo sofferta due volte.
Preferirebbero, infatti, Giosef Garcin, Ines Serrano ed Estella Rigault essere
sottoposti alla leggendaria legge del contrappasso, invece che costretti a
specchiarsi nel dramma comune che è la sorte umana senza riuscire a
riabilitarsi in tempo.
Ma preferisco parlarvi degli effetti collaterali, visto e
considerato che il nocciolo della fusione l’ho già affrontato nella recente
recensione.
Riguardare uno spettacolo è come rileggere un libro: si
scoprono cose nuove, si vivono nuove emozioni e ieri sera, approfittando di una
certa libertà di sala, mi sono messo proprio sotto il palco, in disparte, a
controllare i battiti cardiaci dei tre mattatori: un’estensione pettorale
spropositata, una carica emotiva e sensuale al limite dell’imbarazzante, una
ricerca di collegamenti e legami spasmodica, un incastro fisico perverso, una
salivazione esagerata, una tensione ricca di ansie, ma non da prestazione, una
meticolosissima ma distorta sintonia danzante, una sudatissima seduta
psicanalitica, un bagno di leggera presunzione, un tuffo nel mare dell’umiltà.
Non a caso, quando è calato il sipario e le luci si sono
accese, tutte, per consentire al pubblico di tributare ai protagonisti la loro
rumorosa riconoscenza, Clara piangeva forte, Marine non riusciva a contenere le
sincronizzazioni, naturali, dell’addome con le prominenze del seno e dei glutei
e Sargis stringeva forte i pugni per aver capito, anche durante, ma aspettando
fino alla fine per scaramanzia, di aver condotto in porto la zattera impazzita
di tutte le emozioni di tutti.
Un lavoro meticoloso, preciso, puntuale, fisico, novanta
minuti in apnea, indecisi se provare a risalire verso il pelo dell’acqua per
riprendere il respiro o lasciarsi inabissare, storditi, verso le reliquie del
mare.
Non posso certo omettere di raccontarvi, prima di
congedarmi, il piacere, reale, di aver incontrato, laddove deve, Rodolfo Sacchettini,
il neo Presidente del Manzoni, finalmente in sala durante una rappresentazione:
una presenza, la sua, oltre che inaspettata e gradita, persino bilanciata dall’inaspettata
assenza dell’onnipresente Saverio Barsanti e dall’exploit, easy, ma sintomatico,
di donna Grattacaso.
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Foto di Luigi Scardigli.
[Sabato 8 dicembre 2012 - © Quarrata/news 2012]
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