di LUIGI SCARDIGLI
PISTOIA. Leggero e toccante, come si addice alle cose senza tempo,
che non tramontano mai, perché chi le ha pensate aveva il gusto, tragicomico,
dell’infinito. A questo, che è L’impresario
delle Smirne, scritto quasi 300 anni fa da Carlo Goldoni, aggiungeteci il
saperlo spogliare e rivestire di Roberto Valerio ed ecco servito il penultimo
appuntamento stagionale del teatro Manzoni, che ieri sera ha consumato la prima
delle tre rappresentazioni in programma.
Certo, con un cast del genere, il
riadattamento non è stato epico: troppo facile, insomma, lavorare con Valentina
Sperlì, tanto per intenderci, e il suo falsettare in si bemolle, così come non
bisogna certo sforzarsi molto per render cinico e viscido Roberto Iuorio. Ma
anche sceglierli e assemblarli è stata un’altra forbitissima miscela di
successo, che applaudo con doppio piacere, anzi triplo: il primo perché ieri
sera, la commedia, debuttava; il secondo perché al di là di ogni ragionevole
incoraggiamento, è davvero una commedia easy, di mezza stagione, profonda e
gradevole, semiseria, come si addice alla primavera; e terzo, ma non certo
ultimo, perché L’impresario delle Smirne è una produzione dell’Associazione
teatrale pistoiese e il fiuto è valso un tartufo.
Senza dimenticare la reciproca
contaminazione semantica e scenica della rappresentazione, una continua
sovrastrutturazione dell’impianto, dai dialoghi alle stanze, dalle confessioni
alle invidie, dai ricatti ai timori. Sussurrato, con profonda ironia e spietato
cinismo, che per non farsi odiare diventa surreale, ma non incredibile, cattivo
quanto basta per far sorridere ed indignare, ma non sadico, da suscitare la
misericordia. E poi loro, gli attori, un’ondulazione sismica senza soluzione di
continuità, con donne che sprigionano tutta la loro commovente femminilità e uomini
che si lasciano divorare dalla loro adolescenziale e proverbiale stoltizia, in
un quadro generazionale che ancora oggi, anzi, oggi più che mai, riscuote un
preoccupante successo di attualità, come se in questi ultimi circa tre secoli
le cose non fossero cambiate. Per nulla.
In questa locanda soggiornano degli attorucoli di provincia ai quali, un
improbabile impresario ventila la possibilità di un’imminente spedizione
artistica in Oriente, sovvenzionata da un fantomatico turco-napoletano; ci si
scanna per il ruolo di prima donna, si rivendica la necessaria indispensabilità
di un comico, di un poeta sceneggiatore. Ognuno si crede indispensabile ed
ognuno crede di avere un peso specifico maggiore rispetto a quello di ogni
altro interprete.
Il magnate orientale, dopo aver
palpeggiato le attrici ed aver umiliato gli attori, esilaranti piani sequenza
da cinema anni ’80, decide di ripartire alla volta della sua Turchia senza
farne di nulla, del suo progetto, che riprende quota, speranza e vita grazie
alla soluzione alternativa lanciata dall’impresario, che intravede comunque la
possibilità di guadagnare confidando nella pietistica proposta che rivolge alla
ciurma teatrale: la costituzione di
un cast di azionariato popolare, dove non esistono protagonisti e comparse, ma
solo un unico complesso artistico che si sovvenzionerà equamente in relazione
agli incassi. La voglia di riscatto e la paura di essere dimenticati suggerisce
ad ognuno di loro di accettare, in una storta di resurrezione artistica che
potrebbe anche esser letta come una vera e propria panacea rivoluzionaria. Ho
usato il condizionale perché è quello che mi auguro, ma è quello che non
succederà. Mai.
Oggi pomeriggio, alle 17:30, parte del
cast teatrale sarà alla libreria Lo
Spazio, in via dell’Ospizio, per raccogliere, come succede sempre, i bravi di chi ha visto la prima e per
sciogliere le curiosità di chi andrà a vederli in serata o domani pomeriggio.
Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
Foto di Luigi Scardigli.
[Sabato 2 marzo 2013 | 09:09 - © Quarrata/news]
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