domenica 15 luglio 2012

MONTALENI E UNA BAND FORBITA, DOTTA, ALLEGRA E PIENA DI ENERGIA


di Luigi Scardigli

Non credo sia un caso che Sergio Montaleni e la sua band, parecchio forbita, dotta, allegra, piena di energia, sound e groove, da vendere, assoldata dall’organizzazione del Festival Blues per scaldare i motori della seconda delle tre serate della 33esima edizione e dare vita ad un laboriosissimo esperimento, rileggere i Beatles, cercando di sdoganarli fino in piazza del Duomo, abbia deciso di chiudere lo spazio a loro riservato con Miss You, dei Rolling Stones e Superstition, di Stevie Wonder.

Non lo dico in modo provocatorio, perché a me, i Beatles, non hanno mai fatto impazzire. Lo dico perché Lorenzo Cioni (organo Hammond), Janko (basso), Mario Marmugi (batteria) e Sergio Montaleni (band leader, chitarra, sublime e voce, meravigliosa) sono assai più divertenti quando si cimentano a funkeggiare il funky, o a rendere acid non solo il jazz, ma anche e soprattutto il blues, il rock and roll e il rythm and blues. Certo, lo stravolgimento di Yesterday o il rappeggiare sulle note di Come togheter è stata una delizia di novità e antropofagia, ma licenziare oltre misura sugli scritti di John Lennon e Paul McCarthy, a me, personalmente, sembra un’opera tanto difficoltosa quanto riduttiva; ma non per le origini, quanto per le generazioni postume.
Ho il terrore che crediate che non mi sia piaciuta l’esibizione di Sergio, Lorenzo, Janko e Mario: esattamente il contrario. Ma sarebbe bastato spostare il giorno dell’esibizione, anticiparla a ieri, come prologo alla divinità quasi novantenne, o posticiparla ad oggi, quando sarà la notte del rock infernale, a sventolare, su piazza del Duomo, la propria bandiera.
Non conosco abbastanza Lorenzo Cioni, l’Hammond della formazione; ho visto crescere e diventare professionisti gli altri tre. Montaleni, in particolare – anche perché pistoiese ad origine controllata –, fa parte di quello stuolo di musicisti indigeni che dalla prima edizione del Blues’In ad oggi – sto parlando degli ultimi 32 anni, non di alcune stagioni –, di strada, di studi matti e disperatissimi, di concerti, di collaborazioni sontuose e di pertugi cercati e trovati, seppur nascosti benissimo, ne ha fatta da riempire una biblioteca. Li ho sentiti, Janko, Mario e Sergio, insieme, ma anche separatamente, ad altri colleghi al loro pari: Nick Becattini, Enrico Cecconi, Carmine Bloisi, Davide Malito Lenti, Daniele Nesi, Carlo Romagnoli, Giacomo Laurìa, Chechi Andrei, Marco Banana Pieraccini, Lorenzo Del Pero, i giovanissimi, ma talentuosi, Michele Beneforti e Daniele Bronzini e uno stuolo indefinibile di strumentisti, molti dei quali dimenticherò certamente, che soddisferebbero un blues rave senza soluzione di continuità. Li ho sentiti cimentarsi in qualcosa che, seppur non originale, mi ha regalato, e a tutti quelli con i quali ho diviso e condiviso l’ascolto, emozioni fortissime.
Del resto, già in tempi decisamente non sospetti, a ridosso degli anni più prolifici della storia della musica, ’70 e ’80, Gilberto Gil e Caetano Veloso, due professori sudamericani, sostennero, suscitando un vespaio di polemiche, che la musica fosse già stata scritta tutta, da tempo immemore e che l’unica cosa che restasse da fare ai musicisti postumi rispetto all’invenzione, fosse quella di rileggerla, adattarla, rimodularla, proiettarla nel futuro facendo sistematicamente i conti con il passato.
Anche la storia, la storia dell’umanità, si nutre e si deve nutrire, inderogabilmente, di questo assioma se vuol riuscire, veramente, a progredire.
Dopo la band di Montaleni, che ha avuto più spazio di quello pattuito per piacevoli contrattempi delle formazioni che la hanno preceduta, si sono esibiti, in ordine, Faccini e Nutini, che hanno raccolto il gradimento della piazza e gli applausi a loro tributati, due confessioni, diverse e gradevoli, offerte con devozione da crooner un po’ sguaiati del terzo millennio.
Prima di Montaleni e gli altri tre ragazzi costretti a strappare a Liverpool i loro quattro baronetti, sul palco di piazza del Duomo, chitarra in spalla, ma non so lontanamente a quale titolo, un’altra volta l’ex assessore alla cultura del Comune di Pistoia; che non suona affatto male, beninteso, ma in città e paraggi, meglio di lui, ne conosco a bizzeffe e nessuno di loro, fino ad ora, ha avuto questa meravigliosa opportunità.

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Foto di Luigi Scardigli.
[Domenica 15 luglio 2012 - © Quarrata/news 2012]

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