di LUIGI SCARDIGLI
Sul palco del Las Palmas breve ma intensa esibizione
dell’artista fiorentina con allieve e ospiti
FIRENZE. Gli eterei lineamenti del viso potrebbero indurre in fallo:
quando danza, Gaia Scuderi, trasuda energia, eleganza, equilibrio, rigore,
tutte accezioni che sembrano non appartenerle, che sembrano non appartenere
alla delicatezza del corpo, della voce e del viso, specialmente a recita
conclusa, quando indossato un giacchetto che la preserverà da una serata molto
autunnale racconta brevemente la sua vita e disegna il futuro.
«La mia è una danza sperimentale – sussurra Gaia Scuderi, con
la leggerezza di chi vorrebbe non dover aggiungere altro ai ritmici movimenti
effettuati pochi istanti prima –, un mix di
esperienze anche e soprattutto culturali: classico e moderno, arabo e spagnolo.
Lo farò fino a quando avrò la percezione di poter dire e dare ancora qualcosa e
fino a quando avrò l’energia per poterlo offrire al meglio: quando il corpo non
sorreggerà più le mie idee e i miei sforzi, trasformerò la mia energia in
coreografia. Sono un’amica di vecchia data dei gestori di questo locale (Las Palmas – n.d.r.) e tutte le volte che ne ho la possibilità, salgo
volentieri sui loro palcoscenici».
La carrellata di esibizioni che si sono
succedute nella serata è stata aperta da lei; non era difficile immaginare che
fosse la madrina dell’evento: un po’ per il sunto scenico che è riuscita a
fondere nel giro di pochi minuti, ma soprattutto per quella dote invisibile che
si acquista solo e soltanto dopo aver studiato e lavorato tanto: il carisma.
«Amo il mio lavoro – aggiunge Gaia Scuderi – e credo
profondamente in quel che faccio. Tra le ragazze che si sono esibite stasera,
alcune sono delle mie allieve, altre delle amiche e colleghe, che hanno avuto
il loro spazio in qualità di ospiti. Ognuna di noi ha portato qualcosa del
proprio bagaglio, cercando di offrire, complessivamente, un ventaglio
dimostrativo il più esauriente possibile».
Fabiana Cristina |
Tra tutte quelle che si sono esibite
dopo la professoressa, senza aver la
minima consapevolezza del loro singolo spessore artistico, sono rimasto
particolarmente colpito dalla fisicità di una di loro. Si è presentata sul
palco strusciando morbosamente a terra e appena in piedi ha chiesto (ed
ottenuto) con gesti inequivocabili, che al mix alzassero i decibel, che pompassero il volume. Uno strass tra il
labro e il mento ad illuminarle il tratto di strada che la divide dall’oggi
all’eternità e un passato, seppur lieve, troppo lontano per poterci interagire.
Si chiama Fabiana, Fabiana Cristina. Ha
solo 22 anni, anche se da come balla e dalla sicurezza con la quale mi guarda
negli occhi quando parliamo pare ne abbia cento. È venezuelana e per ballare ha
deciso che nel suo Paese non ci fossero né spazi, né condizioni. Ma anche no.
Non conosco la sua storia, ma come Márquez, adoro immaginarla. È venuta a
Firenze, da sola, questo è manifesto, lasciandosi dietro, senza dimenticarle,
le lezioni e le raccomandazioni che le avranno impartite quando ha deciso di
spiccare il volo. Anche la sua danza, nonostante non sia un’allieva di Gaia, è
un mix: flamenco e rap, jazz e breakdance. Ma è il rumore sordo del suo
diaframma, le ripercussioni ginniche dei suoi muscoli, il calore imbarazzante
della sua rimìa a decontestualizzarla e a porla altrove, dove la musica non si
sente più e la gente è ormai andata via, spazzate, entrambe, dallo tsunami
della sua danza, un portento di grazia ed energia, tracotanza e paura,
illusione e gentilezza. E morte.
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[Venerdì 13 settembre 2013 | 09:19 - © Quarrata/news]
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