lunedì 7 maggio 2012

REGOLAMENTO URBANISTICO. CRONACA E SPUNTI DI RIFLESSIONE


di Lorenzo Cristofani

Partendo dall’incontro del 3 maggio in Sala Terzani alla San Giorgio – La necessità di riconsiderare tutto per non ingessare l’intera città – Aspettando ‘Dialoghi sull’uomo’ e Salvatore Settis

PISTOIA. Cronaca (e spunti di riflessione) sull’incontro-dibattito “Regolamento Urbanistico: Passato, Presente, Futuro. Quali prospettive per gli strumenti urbanistici a Pistoia?” Questo il tema della giornata di giovedì 3 maggio scorso presso la sala Terzani della biblioteca San Giorgio, Alessio Bartolomei – candidato a sindaco per il Terzo Polo e la lista civica Pistoia futura – e Giampaolo Pagliai i protagonisti.
Pochi i presenti in verità, un segnale, questo, non certo ottimo per la democrazia partecipata e la cittadinanza attiva dei pistoiesi.
Peggio ancora il fatto che si trattasse di cittadini della città murata e cementificata , quella nell’immagine cioè, che si è espansa a macchia d’olio fuori dalle mura medicee negli ultimi 60 anni; nessuno quindi a rappresentare le realtà del vasto e disomogeneo territorio comunale, la città policentrica, per intendersi, quella lungo le vie Fiorentina e Bonellina, sulle colline e in montagna, due realtà storicamente contrapposte e restie, ancora, a fare sistema.
La dimensione urbanistica, vale la pena ripeterlo, rimane il luogo d’elezione della politica, la dimensione che più concretamente e autenticamente influenza l’esistenza reale del cittadino, a 360 gradi.
Un sindaco che in 10 anni non riesce ad approvare un regolamento urbanistico (R.U.)? Interdetto dalla politica, come minimo e come atto dovuto. Gli attori principali, nella scrittura di un R.U., sono: architetti, geometri, geologi, agronomi-forestali, ingegneri e periti. Solo direttamente. Una serie di interessi collettivi troppo importante, quindi, per lasciare che in maniera casereccia venga liquidato un R.U. come quello che recentemente avrebbe rischiato di vedere la luce.
Perché rivendicarne con orgoglio l’affossamento ? Alcuni vizi capitali: mancato coordinamento coi piani provinciali, assenza di una preventiva consultazione con gli ordini professionali e pericolosa sovrapposizione con le dinamiche dell’edilizia. Fissazione tutta italiana, quella di normare la complessità e prevedere il prevedibile: l’urbanistica non può occuparsi di edilizia, non ha senso cioè normare gli involucri.
Di fatto si era arrivati a un quadro normativo così pesante da risultare a tratti contraddittorio; il quadro conoscitivo era, invece, inconsistente, vista la georeferenziazione sbagliata, là dove c’era, delle zone ad alto rischio idraulico. Il nuovo sarebbe stato possibile solo per i soliti noti e grossi operatori economici; impossibilità, poi, il peccato originale, di metter mano agli edifici anteriori al ’53, di fatto considerati storici, alla stregua del battistero e del campanile del Duomo. Una iattura, per la buona prassi del costruire sul costruito e del riqualificare, anche e soprattutto impiantisticamente, strutture obsolete ed energivore, che vanificherebbe gli sforzi di chi – e in Italia ce ne sono già alcuni – vorrebbe dire stop al consumo di territorio.
Tralasciando poi gli attriti, tra velate illegittimità e un malcelato autismo – difetto di comunicazione con la macchina comunale, perché si sono allora susseguiti appelli alla responsabilità, allarmismi e proclami, in stile alto e ornato da parte della maggioranza, per far approvare questo strumento urbanistico?
Semplice, per motivi politici ed elettorali: la prova provata era fornita da chi sosteneva appunto l’esigenza di mettersi alle spalle un capitolo e ricominciare a lavorare con un nuovo piano strutturale.
È stato uno spreco economico, per le diverse commissioni consiliari andate così in fumo? No, gli sprechi che gridano vendetta sono quelli perduti nell’operazione delle aree ex Breda, aggravati dalla volontà di non aver realizzato case popolari, essendo tuttavia disponibili i fondi.
La strada per ripartire? Pratiche più semplici e responsabilità dei tecnici che tornano a costruire qualità urbana: di qui l’idea di lasciare scolpito il nome del progettista sulla facciata di un’opera: viviamo della credibilità personale per ciò cha abbiamo fatto, per questo far leva sulla responsabilità del progettista sarà strategico.
Questi i principi generali, qualche atto concreto e simbolico, metafora di una nuova stagione politica? La promozione di un concorso internazionale per un monumento all’acqua (era l’ora!), indissolubilmente legata all’identità storica, alla vocazione (gli opifici, la Magona granducale, le gore..) e alla geografia pistoiese; riaprire piazza Mazzini al transito delle auto evitando un angusto e insensato percorso ad U in via Antonini, utile solo a creare traffico e disagi alla mobilità generale. Restituire, infine, ruolo e voce al Consiglio comunale e per estensione ai cittadini tutti, che (anche su questo blog) hanno il diritto-dovere di condividere contributi e suggerimenti, specie per le grandi opere.
* * *
Il dibattito conclusivo ha visto inaspettatamente quattro interventi incentrati unicamente, forse per l’assonanza col cognome del candidato a sindaco, su quel famigerato parcheggio in San Bartolomeo.
Per questo tema è il caso però di riservare un post apposito, magari aspettando i Dialoghi sull’uomo in cui verrà a parlare quel noto Salvatore Settis che farà letteralmente dannare quanti anelano a tale struttura in luogo dell’antico orto monastico.
Si dà infatti il caso che questo paladino dei beni culturali e ambientali abbia ricevuto e letto il noto libro, prodotto da uno scatto di civismo dei pistoiesi, e, verosimilmente, sparerà qualche autorevolissima cannonata, come suo solito, sulla deriva cementista/sviluppista che attanaglia e porta indietro, non in avanti, il belpaese.
Ma siamo già in un altro capitolo.

Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
[Lunedì 7 maggio 2012 - © Quarrata/news 2012]

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