lunedì 21 maggio 2012

TARIK NAOUCH. IL SENSO DEL DOVERE E IL FATO

di Luigi Scardigli

Oltre che di tutti gli altri, ricordiamoci di questo nome: Tarik Naouch.
È una delle sette vittime – speriamo che il numero dei decessi si fermi qui – del terremoto che ieri notte, alle prime luci dell’alba, ha messo sottosopra parte delle province di Modena e Ferrara.
Non è che gli altri sei non meritino il dolore, la commozione e la solidarietà di tutti, ma Tarik era marocchino e visto che in questo paese ci si scaglia sempre con troppo facilità, demagogia e un po’ di preoccupante e strisciante razzismo nei confronti degli extracomunitari – che cosa vorrà dire mai: di quale comunità parliamo? –, mi sento in dovere di spendere due parole per la sua memoria.

Tarik Naouch aveva 29 anni. Si era sposato da non molto tempo e si stava spaccando le ossa per trovare il modo e la maniera per come portare in Italia, a vivere con lui, anche sua moglie.
Stanotte, quando lo sciame sismico ha parzialmente distrutto la fabbrica Ursa, specializzata in polistirolo di Ponte Rodoni di Bondeno, dove lavorava, Tarik non è rimasto sotto le macerie: è riuscito a salvarsi. Ma un attimo dopo l’apparente fine delle scosse, è immediatamente rientrato in fabbrica per azionare i sistemi di sicurezza, una precauzione fatale, la sua, perché una struttura, lesionata dal terremoto di pochi attimi prima, gli è rovinata addosso.
Non so quale fosse il suo Dio, né se ne avesse uno: io non ne ho, ma pregherò per lui, perché sia rispettato il suo credo.

Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
[Lunedì 21 maggio 2012 - © Quarrata/news 2012]

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