martedì 9 luglio 2013

BLUES 2013, QUESTO FESTIVAL S’HA DA SALVARE


di LUIGI SCARDIGLI

Ma la manifestazione, in piedi da oltre trent’anni, ha bisogno di un restyling e di un maggior coinvolgimento della città a cominciare dalla Ufip

PISTOIA. Il flop di questa 34esima volta del Festival di Pistoia (12.000 spettatori, scarsi, spalmati su cinque sere) deve scatenare una riflessione. Seria. Ad iniziare dal marchio, inscindibile, che accompagna, dall’origine del 13 luglio 1980, la manifestazione: Blues. Il Blues non è affatto morto, né se la passa maluccio: ha solo cambiato pelle, si è sviluppato, è cresciuto, proprio come successe quando Robert Cray – che ha chiuso il sipario domenica sera nella quinta ed ultima serata - decise di svecchiarlo e di catapultarlo fin dove ha potuto.

Certo, il momento non è uno di quelli nei quali ci si possa permettere il lusso di sprecare; ma l’8 giugno, a Rho e sabato scorso, allo stadio Olimpico di Roma, si sono esibiti, rispettivamente a 70 e 80 euro a biglietto, gli Iron Maiden e i Muse, con questi risultati: 42.000 spettatori nel catino industriale milanese e 70.000 nell’arena calcistica.
È un evento ultratrentennale, questo vecchio e stanco Blues’In: la città deve fare qualcosa di più, oltre che la fortuna dei ristoratori e quella degli idioti, tenuti, i primi e i secondi, aperti e liberi di starnazzare fino a notte fonda. Questo Festival è anche e soprattutto di questa città e di tutti quelli che attorno a questo evento, l’unico, oltre alle piantagioni, a veicolare Pistoia nel mondo, vivono in sintonia, quasi simbiotica. Negli altri 360 o 362 giorni dell’anno – dipende dalla lunghezza del Festival -, a Pistoia, di musica, non se ne fa, non se ne ospita, non se ne produce.
E guai se Nick Becattini e tutto lo stuolo di musicisti al seguito prendono l’iniziativa di fare musica dal vivo: alle ore 23 si staccano gli amplificatori, si toglie la corrente e se qualche chitarrista indomito decide di continuare, si inviano i nocs a ripristinare il silenzio. Pistoia è da tempo la città dei vivai e dei ristoranti, due realtà floride tra le quali si insinua il cartellone del teatro Manzoni, le pose dei dialoghi sull’uomo e il Festival.
In questa città, dal 1980 ad oggi, non è ancora nata una scuola di musica e sì che, al di là degli oltre sei lustri del Festival, Pistoia è anche e soprattutto la città della Ditta Ufip, della dinastia Tronci, con l’ultimo dei suoi discendenti, Luigi, ancora lì, ad aspettare che l’Amministrazione gli dia, ad usufrutto, beninteso, le chiavi della porta del suono.
Poi, le contingenze, faranno il resto e rivedremo edizioni del Festival più e meno brillanti di altre, ma troppa parte della città, da questo evento, che ribadisco, ci appartiene, mi appartiene, ne è esclusa. Non sono solo uno spettatore del Festival, né uno dei suoi più puntuali cronisti; per scrivere di musica della mia città, ai primi tempi della mia collaborazione con il quotidiano Il Tirreno, andavo a cercar di musica altrove per portarla a Pistoia. E scriverne.
John Mc Laughlin, band leader della Mahavisnue Orchestra, disse, molti anni fa, che la musica è una forma di spiritualità più alta della religione e molti anni prima, San Francesco, sostenne che chi canta prega due volte.

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[Martedì 9 luglio 2013 | 07:24 - © Quarrata/news]

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