di Luigi Scardigli
Cos’è, ma soprattutto, cosa deve
essere, il teatro?
È una domanda che occorre porre,
urgentemente, a Lorenzo Loris, regista di Mia figlia vuole portare il velo,
riadattamento del testo scritto da Sabina Negri, ispiratasi alla giornalista
Leila Djitili, e portato in scena, ieri sera, al teatro Yves Montand, grazie
all’interpretazione, bella ed elastica, di Caterina Vertova, la madre musulmana
di Alice Torriani – un po’ troppo legata, la fotomodella – che cade dalle
nuvole, riuscendo comunque a sorreggersi, invece che precipitare, quando la
figlia le comunica che l’indomani, nel giorno della discussione della tesi di
laurea in medicina, vorrà indossare il velo.
È attorno a questo corso e ricorso
ideologico-religioso-generazionale che si sviluppa l’intera rappresentazione,
supportata dall’apparizione-video di Alessandro Haber, il padre della laureanda
da anni separato da sua madre, raggiunto in un angolo tropicale della terra con
una telefonata via computer da Parigi, dove vivono le due donne.
E se il teatro è soprattutto luogo di
rappresentazione e di retorica, va bene anche, ma non solo, certo, Mia
figlia vuole portare il velo; se al teatro però deputiamo e deleghiamo uno
scontro sociale, una denuncia, un conflitto altrimenti cruento e denunciabile
per istigazioni e sobillazione, di queste rappresentazioni, forse, non se ne
sente più il bisogno.
Primo, perché del velo, costrizione
maschista dell’ortodossia musulmana, che ci terrorizza quanto i dogmi imposti
da quella cattolica, alla stregua, inoltre, di tutte le altre religioni, ognuna
fondata sulla misconoscenza dell’individuo, non ce ne frega assolutamente
nulla; secondo, ma soprattutto, perché attorno a questa letale e disumana
scaramanzia, si sarebbe potuto sviluppare un gioco irrisorio, denigrante e
dunque blasfemo che invece è rimasto distante dal nocciolo della fusione,
delegando al solo camaleontismo umorale della Vertova l’equilibrio e il
gradimento della scena.
Amabilmente minimale, ridotta,
semovente, quest’ultima, un gioco di sfondi diversi, ma utilizzando le stesse
identiche strutture; delle piccole variazioni al palco e sul palco eseguite dal
personale del teatro e dalle protagoniste nel vivo della scena, con la sola
accortezza, durante i lavori in corso, delle luci soffuse.
Un incidente teatrale, quello del velo,
che mette in luce la secolare complicità tra una madre e una figlia, che seppur
separate dalla voglia di emancipazione della seconda e quella di non appassire
della prima, riesce comunque a trovare un punto incrollabile e inattaccabile di
comunione, dove l’amore incondizionato e la riconoscenza sapranno trovare un
giusto e dignitoso compromesso.
Cliccare sull’immagine per
ingrandirla.
[Lunedì 9 gennaio 2012 – ©
Quarrata/news 2011]
Nessun commento:
Posta un commento
MODERAZIONE DEI COMMENTI
Per evitare l’inserimento di spam e improprie intromissioni, siamo costretti, da oggi 14 febbraio 2013, a introdurre la moderazione dei commenti.
Siamo dispiaciuti per i nostri lettori, ma tutto ciò che scriveranno sarà pubblicato solo dopo una verifica che escluda qualsiasi implicazione di carattere offensivo e penale nei loro interventi.
Grazie.