mercoledì 18 settembre 2013

BLUES DI LÀ D’ARNO


di LUIGI SCARDIGLI

Bella jam session al ‘Volume’ di Piazza Santo Spirito  Il problema, è arrivarci

FIRENZE. I residenti di piazza Santo Spirito, a Firenze, hanno poco da lamentarsi se dal parterre giunge nitida un po’ di confusione. Il locale dal quale si emanano le note, del resto, si chiama Volume e con un nome così, la confusione regna sovrana.
Ma quando a suonare ci sono quei quattro vecchietti che rispondono ai nomi di Filippo Barontini (chitarra e voce), Davide Malito Lenti (batteria), Carlo Romagnoli (basso) e Mimmo Mollica (armonica), la confusione ha un suo stile, perché è stata scritta su uno spartito, viene sapientemente letta e, come se non bastasse, anche rivoluzionata con simpaticissime improvvisazioni. E’ andata così, ieri sera, al Volume e così, immagino, vada tutte le volte che i gestori del locale si mettono all’anima, oltre che distribuire alcolici, anche di assoldare strumentisti che suonino con dovizia di particolari.
Il blues – con Mimmo Mollica è adorabilmente inevitabile – l’ha fatta da padrona, supportato anche da alcune amicizie all’uopo, come la voce di Luciana Camarda, lì per caso e, per caso, fatta accomodare nel metro quadrato del palco e fatta cantare: sublime!
Ma il problema è un altro. Anzi, i problemi, sono altri. Iniziamo dall’inizio, da viaggio con la macchina. Venerdì sera, 13 settembre, ore 22; al casello autostradale di Firenze, porta obbligatoria, ci sono solo due accessi frequentabili, se sprovvisti di carte di credito, prepagate o telepass: uno solo è con esattore, che mi guarda sconsolato e non può che condividere il mio disappunto circa l’ingiustificabile disservizio. Arrivo finalmente a Firenze. Il Volume è dalla sponda meno frequentata dell’Arno, verso Boboli: se decidessi di optare per la via delle Cascine rischierei di imbottigliarmi tra i meandri dell’angusto e suggestivo centro storico. Scelgo i viali e arrivo fino in fondo.
Girovago mezz’ora laddove i divieti al transito me lo consentono, fino a quando riesco a trovare, chissà come, un posto. Certo, il locale dove voglio andare è lontano, molto lontano, ma non ho altra possibilità. Parcheggio e mi incammino. La serata è fresca, ma passeggiando, la sollecitata circolazione del sangue riscalda dentro e fuori. Unico inconveniente, le inderogabili esigenze urinarie. Bagni pubblici, nulla, bar, nemmeno. Entro in un albergo, di quelli a tante stelle e chiedo alla donna che siede compostamente alla reception, se possa usare i servizi. Non abbiamo bagni pubblici, mi risponde sconsolata. Inizio a piangere, un po’ per la necessità che si sta facendo impellente, un po’ per l’inconsolabile idiozia della risposta ricevuta poc’anzi. Proseguo. Incontro un lounge bar: non ho alcuna intenzione di consumare nulla, ma non posso più resistere, devo fare pipì. Il gestore, molto giovane, capisce il mio imbarazzo e mi indica la strada per giungere al servizio: decoroso, in ordine, profumato. Mi libero dall’impellenza cercando di non mutare l’humus del piccolo bagnetto, saluto e arrivo, dopo aver violato Ponte Vecchio, a destinazione.
Fuori e dentro, un casino di gente, la maggior parte delle quali più alta di me. Riesco a farmi strada tra non poche difficoltà, ma giungo finalmente a destinazione. Gli strumentisti sono già all’opera: solo il band leader di circostanza, Filippo Barontini, non mi conosce; gli altri sì e parecchio bene, per fortuna. Ci scambiamo sorrisi di complicità: loro sono felici che ci sia anch’io, ad ascoltarli; io sono felice di essere tra quelli che li ascoltano.
Faccio qualche foto, consumo una birra (3 euro, con ricevuta) e mi godo quel che resta della serata. Prima di mezzanotte e mezzo, Filippo Barontini concede a tutti i suoi colleghi un paio di assoli all’interno di una battitura libera: Davide e Carlo rispettano il copione, Mimmo vola per i fatti suoi. Lo lasciano fare, sta tornando grandissimo, va bene così.
Il concerto finisce, abbraccio Davide, Carlo e Mimmo – amici di vecchissima data -, inzuppati di sudore; bacio Luciana, molto discretamente e mi congratulo con Filippo, che non avevo mai sentito all’opera. Riprendo la strada per il ritorno. La gente, quella che ho incontrato all’andata, è già tutta reclusa nei locali. In macchina ascolto Everithing, di Michael Bublé, fino all’esasperazione e penso che se le Ferrovie, almeno nei fine settimana, approntassero corse anche dopo la mezzanotte, probabilmente, al Volume, ci sarei andato in treno.
Pensieri notturni: servono solo ai poeti!

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[Mercoledì 18 settembre 2013 | 19:04 - © Quarrata/news]

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