domenica 17 luglio 2011

SÌ, MA È ANCHE COLPA DEI GIORNALISTI




A volte non vorrei proprio vedere. A volte vorrei fare come Edipo: prendere il chiodo della fibbia e accecarmi per poter respirare un istante senza dover pensare, con Mordo Nahum di La tregua di Levi, che «Guerra è sempre».
E stamattina – domenica 17 luglio, con un numero che porta male –, pur imbattutomi nel commento di Zetti, su La Nazione, ho fatto finta di nulla, anche se mi pareva interessante riflettere. Mi ero promesso di fare un voto di silenzio, dato che sembra che parli sempre e solo io – almeno in piena libertà…
Scrive Zetti:

Più rispetto per i defunti

Che non si potessero scattare fotografie all’interno del cimitero comunale di Pistoia ci ha un po’ sorpreso. Sulla base delle segnalazioni ricevute, volevamo effettuare un sopralluogo e descrivere lo stato di manutenzione del camposanto. Non lo abbiamo potuto fare. «Foto vietate, serve l’autorizzazione». Senza entrare nella polemica degli scatti che siamo stati costretti a cancellare dalla memoria della macchina, ci preme, però, fare un paio di considerazioni. Il cimitero non è un obiettivo sensibile. E non è neppure un museo o uno dei monumenti più ammirati della città. Difficile trovare qualcuno che si aggira fra le tombe con la macchina a tracolla, tranne, forse, qualche anziana desiderosa di scattare una foto ricordo della lapide del marito. Alla richiesta di spiegazioni è stata tirata in ballo anche la privacy, ma anche questo aspetto non ci ha convinto. Nessuno di noi aveva intenzione di immortalare nomi e date, né di disturbare il riposo dei defunti o le preghiere dei loro parenti. No, volevamo solo fare il nostro dovere di cronisti, creare un dibattito, fare in modo che il cimitero non fosse più prigioniero del degrado e dell’incuria. Solo così, infatti, si rispetta davvero il riposo dei defunti e il dolore dei parenti.

Poi però, durante il pomeriggio, mi ritrovo in cassetta-mail un post che viene dalla curia, per mano di Mauro Banchini. Che scrive:

Il cimitero … della privacy

Singolare ciò che è capitato a un giornalista locale. Ricevute segnalazioni circa lo stato di degrado di un cimitero cittadino (la storia si svolge a Pistoia), il cronista ha fatto il suo dovere: è andato nel luogo per la verifica e ha creduto di poter documentare il degrado (erbacce eccetera) scattando alcune foto.
Gli è stato impedito – così si è letto in cronaca – da alcuni dipendenti comunali che, adducendo motivi di (sic) privacy, hanno vietato le foto. Quante sciocchezze nel tuo nome, o mitica privacy!
Su un altro cimitero della provincia – anch’esso maltenuto e con erbacce alte e assai poco decorose per la dignità di un luogo chiamato anche campo “santo” – un giornalista che aveva scritto per denunciare il degrado si è beccato una sonora protesta di un sindacato di lavoratori.
Episodi piccoli piccoli, certo; autentici infortuni di una grossolanità quasi pari all’umorismo involontario di considerare “obiettivo sensibile” un cimitero, ma bene rappresentativi del fastidio che la categoria provoca quando fa, semplicemente, il suo dovere.
Sono tanti i poteri che, dai giornalisti, vorrebbero solo umili schiene piegate.

Come si può resistere? È sul come si può resistere, cari colleghi Banchini e Zetti, che mi sono soffermato a riflettere. È per questo che devo parlare.
Non prendetevela, ma si può resistere, in primo luogo, rispondendo con molta tranquillità, ai dipendenti del comune, che si limitino a fare il loro mestiere senza sentirsi portatori di straordinari poteri di polizia e censura; poteri che non hanno neppure se sono vigili urbani, dal momento che nome e cognome, data di nascita e di morte e altro ancora, non sono certo dati sensibili: mentre il sudiciume di un cimitero, luogo di culto, fa ben parte del disinteresse (da bacchettare) di chi governa una città, sia come amministratore che come dipendente di un ufficio preposto.
Si può resistere, in secondo luogo, non cancellando affatto alcuno scatto memorizzato in pellicola o sulla macchina digitale: provino loro a levarcela o a strapparcela, la macchina, mentre stiamo facendo i cronisti-testimoni. Ci facciano vedere come sono bravi.
Si può resistere, in terzo luogo, telefonando alle forze dell’ordine perché accorrano ad assistere alla commissione di un abuso – dato che oggi anche i neonati hanno un cellulare in tasca e il cimitero è pubblico e aperto al pubblico, quindi è come una piazza del Duomo.
Il fatto è, però – credo –, che si preferisce, spesso, sedare e sopire, piuttosto che svolgere il proprio mestiere facendolo davvero come va fatto: anche a rischio di prendere le mani nel muso o di sentirsi minacciare per averlo fatto; o di essere considerati sgradevoli come dei lebbrosi, o apostrofati come asociali e incapaci di saper stare con garbo in una comunità civile; il che significa: «Allìneati, somaro, o altrimenti ti tronco a suon di insulti mascherati da discorsi pieni di senno e di giudizio alla don Abbondio; oppure ti ostacolo in tutto ciò che farai da qui in avanti e… peggio per te, se mi vesto dei miei panni politici».
Poi magari si predica Cristo dimenticando che era il più isolato degli isolati, il più asociale degli asociali, il più vero dei veri – tant’è che finì in croce. E ci si domanda come si può resistere.
Mi vengono in mente, a questo punto, i corrispondenti di guerra: e non dico altro.
È per questo, cari colleghi, che molti poteri oggi – come afferma Banchini – non solo non vorrebbero, ma addirittura non vogliono che umili schiene piegate.
E spesso le ottengono. Forse perché non ci sono più neppure tanti giornalisti, ma solo tanti impiegati, pronti a saper convivere e capaci di socializzare con garbo, più che nel nome del Padre nel nome del branco.
Vogliamo provare a chiederci perché mai i lettori calino sempre di più?
Buona domenica 17, anche se è quasi a fine!
e.b. blogger

P.S. – Chissà se di questo se ne parlerà anche in consiglio comunale insieme all’affaire Legno Rosso

Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
[Domenica 17 luglio 2011]

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