venerdì 8 luglio 2011

ERA UN RAGAZZO INTROVERSO

di Luigi Scardigli



Era un ragazzo introverso. Ma geniale. E Andrew Warhola junior – lo slovacco dotato di fiuto da vendere – lo capì subito. Tanto che, dopo essersi ribattezzato Andy Warhol e aver stregato la Grande mela con le sue riproduzioni, adottò subito quel giovane e irriverente genio e sregolatezza e con lui, più che i Velvet Underground, fondò un a vera e propria epoca.
Sono passati 45 anni da quella straordinaria intuizione artistica ed è lecito voler sapere come se la passi oggi Lou Reed, quel dissacrante giovanotto ormai sulla soglia dei settanta. Questione di ore, perché sarà lui ad impreziosire il terzo e ultimo giorno della 32esima edizione del Festival Blues di Pistoia in programma in piazza del Duomo da stasera fino a domenica. Prima di uno dei pochi miti ancora in carne ed ossa, chissà se viventi, il Festival accenderà i riflettori sugli Skunk Anansie (stasera), per poi provare a convincere la piazza, domani, con il gradito ritorno di un bluesman doc, Robben Ford e con quel che resta degli scampati al diluvio universale dei Doors, Ray Manzarek e Robby Krieger.
L’attrazione di questa nuova rassegna musicale, però, sarà certamente lui, il cantautore brooklynese, in febbrile e controversa attività dal 1958, con 40 album alle spalle, una miriade di raccolte, live, apparizioni cinematografiche, reading poetici, qualche flop più che altro generazionale e immediate riprese di quota e stile. Proprio quello che si presentò al mondo esordendo e raccontando di droga e perversione, amore sfrenato e morte, alcool e resurrezione, cercando di sfatare miti e infrangere tabù, grazie alla collaborazione del poliedrico John Cale, Starling Morrison e della batterista Angus McLise, quartetto al quale il deus ex machina Warhol volle subito accostare, integrandola in un perfetto cocktail di esplosiva risonanza, un’altra macchina da guerra mediatica e pubblicitaria, la tedesca Nico.
Un grande saltimbanco, uno spirito superiore, una reincarnazione demoniaca, uno straordinario impostore? Nulla di tutto questo, chissà. Ma il fatto che alcuni dei suoi illustri colleghi di anatemi e depravazione siano poi stati sepolti dalle loro stesse luttuose profezie e che lui invece continui ad esibirsi anche al di qua dell’Oceano, alla non certo tenera età di 69 anni compiuti, qualcosa di anomalo, se non di strano, non può non esserci. Perché quarantacinque anni fa, il giovanotto con i Ray-Ban scuri, la folta chioma crespa e i jeans della migliore tradizione statunitense si presentò al pubblico con Heroin, Sunday Morning, Femme fatale e altre storie di ordinaria e urbana follia, riuscendo però a salvarsi sistematicamente in tempo, prima di venir inghiottito dai marosi delle bufere prodotte dalle sue stesse poesie. E dal riflusso, anche. Perché questa icona di se stesso, questo mito deambulante, palestrato e colto, è anche riuscito a non rovinare vergognosamente sul mercato, riuscendo, spesso, a reinventarsi sotto il segno multiforme del rock, fino ad issare la sua bandierina, disegnatagli dall’amico Andy, sulla vetta della notorietà, per poi riscendere fino a valle dall’altro versante.
E senza cadere.

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[Venerdì 8 luglio 2011]

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