martedì 19 luglio 2011

IL SENSO DELLA VITA

di Alessandro Romiti

oh se facessi senno passeggero
e pensassi al tuo fine,
come presto muteresti vita.



AGLIANA. Marco Matteucci è passato di là. La sua esperienza di dura, impensabile, continua sofferenza, protratta in questi lunghi sette anni è stata una grande lezione per tutti noi. Essa potrà essere motivo di riflessione per coloro che sono soliti proporre facili speculazioni sul sacro valore della vita, assumendo particolare attualità in questi anni di dibattito scaturiti dai casi Welby ed Englaro. Giorgio, il forte e caparbio padre, dopo le sue esequie, ha rievocato alcuni dei momenti che lo avevano unito al figlio, e mi ha riferito che anche se glielo avesse chiesto lui, non avrebbe mai “staccato la spina”: la vita è sacra e non può essere violata, mai da nessuno.
Due anni fa, dopo un periodo di ricovero in ospedale, Marco aveva lasciato il reparto di terapia intensiva protestando per il modo in cui era “ospitato” chiedendo, addirittura, di poter cambiare ricovero o l’ospedale.
Tutto ciò sembrava incomprensibile ai più. Non si trattava di un caso di mala sanità: tutt’altro. Il personale del reparto è stato sempre capace di grande attenzione e professionalità, gentile e premuroso nell’accudirlo, ma evidentemente, la sua sensibilità gli fece esprimere pensieri solo a lui comprensibili, legati al contesto della malattia dal nome più terribile: “chiuso dentro” (locked in).
È lì che Marco denunciava il suo massimo attaccamento alla vita che lo aveva reso libero da ogni condizionamento di razionale e naturale riflesso. Nelle ultime settimane, colpito da una sindrome bronchiale, aveva avuto la forza di chiedere un esame radiografico, poi ritenuta inutile dai medici che lo assistevano. Ma lui voleva resistere, sempre e comunque.
Marco non parlava e non si muoveva, ma vedeva, ascoltava e rispondeva muovendo solo le ciglia, ora in alto, ora in basso, per asserire o negare.
Le comunicazioni erano possibili solo con uno spelling alfabetico, che veniva redatto pazientemente dai familiari e gli amici e gli amorevoli volontari Luciano, Vito, Adele: alla lettera indicata, da lui prescelta alzando gli occhi, esprimeva l’assenso per la composizione della parola… e via di seguito – minuto dopo minuto, parola dopo parola – fino ad arrivare alla frase completa.
Il profondo imbarazzo e senso d’inadeguatezza si consolidava al momento di qualunque visita nella percezione dell’impotenza della nostra disinvolta comunicazione facilmente unidirezionale: e così fu quella volta in ospedale. Marco venne risvegliato dalle mie parole, uno sconosciuto che proponeva saluti improbabili per entrambi oltreché circostanziati, impegnandolo in un riconoscimento insolito e decisamente straordinario data anche l’imprevedibilità della visita nel più terribile dei reparti ospedalieri.
La quantità di cateteri e cavi elettrici che pervadevano il suo corpo violentandolo sono stati – per il libero visitatore – un elemento d’implicita flagellazione, in quanto il visitatore poteva uscire dopo pochi minuti slegato e libero da tutto e andandosene, dimenticava presto. Non avrebbe capito.
La festa del cinquantesimo compleanno di Marco aveva veduto riuniti amici di vita. In tale circostanza qualcuno ha rievocato il tempo in cui – nel teatrino della compagnia – si raffigurava il musical americano sulla Passione di Cristo (da lui stesso impersonificato) e, in un attimo, ci siamo accorti della catarsi: è stato nuovamente chiamato alla “Passione”. Risuonava nella nostra mente il brano di Jesus Christ Superstar che tanto gli piaceva e lo faceva sorridere, con una asimmetrica smorfia di gioia, ancora una volta improbabile, quanto esclusiva.
Marco è oggi chiamato ancora a portare la croce sulla scena della vita e permetterà a noi tutti, una profonda riflessione sul suo significato.
Lui, con il suo attaccamento e la sua dimostrata voglia di vivere, ha testimoniato il tesoro della speranza, un dono disponibile a ognuno, spesso ignorato o dimenticato. Il suo pellegrinaggio rifugge il modello di uomo che ricerca con l’apparenza, superficialità e banalità la più egoista affermazione di falsi valori – di fatto diffusa nella quotidianità di noi tutti – propri della gente comune.
Questa nota è un atto di riconoscenza per il suo sacrifico, che ci permetterà d’accrescere la nostra maturità con un’esperienza emozionale profonda nel suo spessore umano, espansa nell’animo e densa per come intrisa di verità.
Grazie Marco, per tutto questo.

Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
[Martedì 19 luglio 2011]

Nel rispetto più assoluto della libertà individuale sia per le opinioni che per le scelte, un rispetto a cui noi crediamo da sempre con il massimo impegno e la più grande profondità, abbiamo qui pubblicato un intervento dinanzi al quale siamo – e non potremmo essere diversamente – pensosi.
Personalmente, però, crediamo che ogni uomo abbia il diritto di scegliere, quando è stretto in condizioni estreme, ciò che ritiene più opportuno: o continuare a vivere ad ogni costo o scegliere di abbandonarsi finalmente alla pace e al riposo.
E senza che nessun altro uomo abbia il diritto di aggiungere o togliere una virgola alle sue decisioni.
e.b. blogger

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