domenica 10 luglio 2011

NO, CARA PICCINA NO…


Stamattina, domenica 10 luglio, Cosimo Zetti, caposervizio della Nazione, scrive:

Ma il blues non basta


Un mese fa ho ricevuto la telefonata di un vecchio amico che non sentivo da tempo. «Sei a Pistoia? Non lo sapevo. E che ci fai? A Pistoia c’è soltanto il Blues». Sono felice che sia al corrente del Festival, ma gli faccio notare che la nostra città è ricca di arte e di storia e che il territorio offre infinite possibilità di svago. Poi mi fermo a riflettere. Già, il Blues. E poi? Vuoi vedere che l’amico non ha tutti i torti? Noi che viviamo la città sappiamo quali sono i pregi e i difetti che la contraddistinguono. Sappiamo anche che Pistoia non è paragonabile a Firenze, ma siamo comunque orgogliosi di una realtà fatta di infinite sfaccettature. Noi lo sappiamo, gli altri no. Quello che in questi giorni sta accadendo con il Festival, con il centro pieno di bancarelle, i giovani, la musica, l’atmosfera di festa che si respira in ogni angolo, rappresenta un grande biglietto da visita. Sfruttiamolo, ma facciamo in modo che sia festa sempre. Mettiamoci in vetrina, non facciamoci più chiamare Tristoia, puntiamo sulle nostre tradizioni, a cominciare proprio dal Blues e dalla Giostra dell’Orso. Perché se vogliamo ripartire davvero, anche sotto il profilo economico, non possiamo che iniziare proprio da ciò che più ci appartiene.
[Fonte: La Nazione/Pistoia, 10 luglio 2011]

Al di là dell’amabile invenzione della telefonata dell’amico e della susseguente riflessione sulla sua ‘Pistoia da bere’; al di là del giochino di parole Pistoia/Tristoia – indubbiamente molto appropriato, per carità – colpisce, per chi Pistoia la vive e la subisce da una vita, senza fette di salame sugli occhi e non certo nella maniera migliore e più positiva, così tanta affezione per una realtà che poi, in fin dei conti, finisce per non venir raccontata ogni giorno in cronaca per quella che è, ma solo per i suoi aspetti più convenzionali, ovvi, scontati: feste, sagre delle frittelle dolci e dei necci, scambi di auguri e salamelecchi, premiucoli e genuflessioncelle d’occasione, magari dopo una lotta apparentemente al coltello e all’ultimo sangue. Insomma provincia e provincia profonda – per non dire preoccupante e inguaribile marginalismo provinciale senza speranza.
In effetti il blues non basta per illuminare, descrivere e radiografare questa città, in cui tutto è sotto la crosta del più incallito e vetero conformismo: politico, amministrativo, religioso, civile, legale, sportivo, commerciale, bancario, produttivo, pubblico & privato, e… chi più ne ha più ne metta.
Non basta un palesato affetto, un amor patrio a volte fin troppo esibito, caritatevole e peloso, buonista e manzonianamente edificante, per far sì che Pistoia – per usare quel pistoiese che Zetti, forse, da straniero qual è non conosce bene – mègliori e si mègliori.
Non si pòle proprio e solo usare i possessivi – mia, nostra e simili – per credere di poter dare una mano al futuro (mancato da secoli, peraltro) di questa città, che tutto vuole fuorché cambiare: e ce lo fanno vedere in prima fila le opposizioni che, in cent’anni di solitudine, non sono state capaci di erodere neppure uno spigolo di un potere comunista dei più incalliti, incrostati e il più delle volte retrìvi: tanto che, quasi quasi, non è neppur pensabile che si possa modificare qualcosa, se non di mera accessorietà e di inutile apparenza, in tutta questa perfetta e deistica assoluta immutabilità, tambureggiata, alla fine, da strafamosi quanto perfettamente inconcludenti Canti al balì e omelie tivvuèlliche.
E una sostanziale fetta di aiuto a questo mantenimento dello status quo, a questa beatitudine intangibile e perpetua, a questa taumaturgica capacità di conservarsi e riprodursi all’infinito, rinnovando di anno in anno il mistero della liquefazione del sangue pistoiese in un’estasi da Santa Teresa, la forniscono, purtroppo, anche i quotidiani locali, sui quali, davvero, una volta, un non-amico ci chiese: «Ma questi di Pistoia sono dei veri giornali?».
Quotidiani che, se iniziano a grattare una crosta, smettono dopo una puntata e mezzo per non svegliare il cane che dorme…
E allora

No, cara piccina, no,
così non va.
Diamo un addio a Tristoia
se ahimè Tristoia è l’infelicità.
e.b. blogger

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[Domenica 10 luglio 2011]

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