sabato 4 maggio 2013

LUCIANA CARMADA E I ‘VELVET SOUL’


di LUIGI SCARDIGLI

FIRENZE. L’ho sentita duettare, giorni fa, con Nick Becattini, sul palco dell’Al’Trove, in piazza della Resistenza, a Pistoia. Ha solo vocalizzato qualcosa, ma mi è parsa gradevole e poi, ho pensato, che se Nick le consentiva questo lusso, in una serata in compagnia di Enrico Cecconi alla batteria, Michele Papadia all’organo Hammond e il collega Riccardo Onori alla chitarra, Luciana Camarda poteva avere qualcosa a dire.

La conferma è arrivata ieri sera, al BackStage di via Fiesolana, un pubbaccio che si fa rispettare, a Firenze. La cantante, siciliana, trapiantata in una terra ancora non confiscata alla mafia, la Toscana, era con tre strumentisti al seguito: Vieri Sturlini alla chitarra, con il quale duetta jazz da qualche tempo, Renzo Nardi alla batteria e Saverio Padovani al basso, che credevo non gradisse la mia presenza, quest’ultimo, ma che mi ha poi rincuorato confidandomi di avere una faccia così, che sembra non gradire la presenza di nessun altro.
Al di là di questo velato umorismo surreale – in onore della scomparsa di Catalano, un easy gradevolissimo –, la cosa che mi ha fatto piacere è stata quella di aver avuto, anche ieri sera, l’ennesima conferma: che in giro c’è ancora un sacco di gente che si muove per passione e che per i propri ideali è disposto a tutto. Come suonare in un bugigattolo dove non ci sono i centimetri idonei per consentire l’apertura delle braccia al batterista, ad esempio; o dove il bassista deve fingere di essere stanco a tal punto da suonare immobile, perché se solo si provasse a muovere, decapiterebbe qualcuno; o il chitarrista, che stremato dalla postura che lo ha visto incastonato tra un amplificatore e il banco, quando ha deciso di riposare gli arti su uno sgabello si è visto costretto a fare, oltre che il suo sporco mestiere, anche l’equilibrista.
Ma la musica viaggia su corsie preferenziali, che spesso non hanno bisogno di credenziali e suppellettili per riuscire a dare alla propria passione le armi del sound. E loro, i Velvet Soul, questo il nome del quartetto, ieri sera, accanto alla porta d’ingresso che facilitava entrata ed uscita degli aficionados dell’alcool, sono riusciti a regalare una gradevolissima rilettura di Amy Winehouse, una versionrock di Superstition, di Steve Wonder e qualche pezzo blues degno delle migliori tradizioni di colore.
Ma era la voce di Luciana Camarda che mi interessava sentir pulsare da vicino, anzi, vicinissimo e il risultato è stato tra i migliori: poliedrica, sintatticamente corretta, sufficientemente sfrontata nelle ristrutturazioni, la giovane cantante ha superato a pieni voti l’esame che la consegnava il diploma di vocalista con le velleità di poter sognare.
Mi auguro che a Pistoia, prima di vederla all’opera alla serata del Blues’On, qualche gestore di locali dai decibel più che controllati – altrimenti si svegliano i cani, che poi abbaiano e i vicini chiamano i vigili urbani, che vengono e staccano gli amplificatori, facendo come se non bastasse le multe, che sono più salate dell’incasso della serata e allora meglio non chiamar nessuno e sfrassolatevi il cervello di Negroni – la chiami per farsi conoscere ed apprezzare: i talenti non guastano mai; per loro c’è sempre spazio. E tempo. Di musica, soprattutto. 

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Foto di Luigi Scardigli.
[Sabato 4 maggio 2013 | 08:36 - © Quarrata/news]

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