di Mauro
Banchini [*]
Settimana Sociale: il saluto del vescovo di Pistoia e vicepresidente CET – Appello alle comunità cristiane toscane: «Riappropriatevi della dottrina sociale, mettete in gioco nuove identità cristiane»
PISTOIA. “Dobbiamo chiederci, noi per primi, con verità che
non ha difese, se ci siano ancora dei cattolici in politica e nell’impegno
sociale, se le nostre chiese abbiano la forza e la sensibilità per generarne”.
Così, Mansueto Bianchi vescovo di Pistoia e vicepresidente dei vescovi toscani,
nel saluto alla prima Settimana Sociale dei cattolici toscani che si è aperta
oggi a Pistoia e che vedrà convenire, nei tre giorni di lavoro, circa 400 fra
delegati e responsabili di associazioni ecclesiali toscane.
IMPREVISTI
Il saluto introduttivo della Conferenza Episcopale Toscana
non lo ha portato (alle 17, come previsto) il Presidente Card. Betori, ma il Vicepresidente
(e Vescovo di Pistoia) Mansueto Bianchi.
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“Dobbiamo chiederci – ha proseguito – se viviamo di
residualità, se cerchiamo di prolungare una luce vespertina oppure se, come
credo, la dottrina sociale della chiesa è una potenzialità di motivazioni e di
scelte che può e deve generare presenze incisive di laici cattolici nell’impegno
sociale e politico, nella elaborazione culturale”.
“Stiamo attraversando una stagione drammatica – ha
aggiunto – una stagione che sta sgretolando progetti e futuro di persone e di
famiglie, che sta ponendo intere fasce sociali sotto il segno di una angosciosa
incertezza, evidenzia il fallimento di modelli di sviluppo e di relazioni
economiche, la debolezza delle istituzioni, lancia nuove sfide di respiro
antropologico ed infine espone l’umiliante povertà di percorsi politici”.
Ricordato come fu proprio Pistoia, nel 1907, a
ospitare la prima delle Settimane Sociali dei cattolici italiani, il vescovo
Mansueto ha sottolineato “la dimensione sociale della fede” e la necessità che
i cattolici “siano portatori di una visione evangelica della storia, capaci di
spirituale discernimento, di dare nuovo e vigoroso significato alle nostre
antiche parole, di collaborazione con identità culturali diverse, di mediazione
e realismo, di porsi ove occorra come segno di contraddizione”.
Forte l’invito del vicepresidente CET (Conferenza
Episcopale Toscana) alle comunità cristiane della regione affinché “si
riapproprino del pensiero sociale cristiano, ne impastino la loro cultura e la
loro coscienza, la rendano mentalità di popolo perché nuove identità cristiane
si mettano in gioco, a vari livelli, nel presente e nel futuro della Regione”.
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FABRIS: «ANDARE CONTROCORRENTE»
Settimana
Sociale cattolici toscani – Forte attenzione per i beni comuni – Giovani e lavoro: togliere il “freno
a mano”
PISTOIA. “Lavoro, educazione, inclusione,
mobilità sociale, riforme istituzionali: su questi temi, proprio in questo
tempo di crisi, i cattolici hanno molto da dire, anche in Toscana, perché
portatori di una prospettiva alta, valida, condivisa, fondata su una ben
precisa idea di comunità e di bene comune”. Così Adriano Fabris, ordinario di
Filosofia Morale all’Università di Pisa, introducendo la Settimana Sociale dei
cattolici toscani iniziata a Pistoia.
In una “cattedrale”
laica (un capannone dove generazioni di lavoratori hanno costruito treni)
Fabris è partito dai cinque punti sui quali, nel 2010 a Reggio Calabria, la
Chiesa italiana basò la sua ultima “Settimana Sociale” nazionale (la prossima
sarà a Torino in settembre): la centralità del lavoro (“la necessità di
intraprendere, senza timore del mercato anche se in forme tali da non fare del
mercato stesso un uso improprio”); l’urgenza della educazione (“un educare
inteso come compito, anzi come vocazione, messa in opera dalle famiglie, dalle
scuole, dalle associazioni”); la necessità di nuove forme di inclusione (“basate
su uno scambio giusto fra diritti e responsabilità”); la riattivazione della mobilità
sociale (“affinché possano essere sviluppate le energie migliori da parte di
nuovi soggetti”); il completamento della transizione istituzionale (“un processo che si sta prolungando
fin da troppo tempo”).
Sottolineato
l’elemento che unisce tali ambiti (“l’assunzione esplicita di una
responsabilità per il bene comune”), Fabris ha proseguito sulla mentalità oggi
comune (“Viviamo in un individualismo esasperato. Di questi tempi, tanto più se
si comincia a star peggio, ognuno pensa per sé e, se eventualmente prende in
considerazione il suo rapporto con gli altri, vuole che essi restino sullo
sfondo: vuole che gli arrechino il minor disturbo possibile”). La stessa idea
di politica si è radicalmente trasformata: dalla concezione originaria (“interessarsi
della cosa pubblica”) a “un gioco in cui diverse parti si confrontano per avere
sopravvento l’una sull’altra sembrando che tutto sia lecito per conseguire tale
scopo”.
Esiste però una
forte voglia di “comunità”. Riferendosi in particolare ai giovani, Fabris ha
citato i social network e si è soffermato – ricordando il referendum 2011 sulla
privatizzazione dell’acqua – su un rinnovato interesse per le cose di tutti (“con
l’attenzione per i beni comuni che, appunto in quanto comuni, non possono
essere resi privati né debbono essere concepiti nell’ottica del guadagno che se
ne può trarre”). Ma ha anche ricordato “la variegata esperienza della Chiesa del grembiule in cui ogni giorno
e nel silenzio tante persone dedicano il loro tempo a chi ha davvero bisogno”.
L’apporto
odierno dei cattolici alla città sta dunque – per Fabris – proprio nell’invertire
la mentalità predominante, nel camminare controcorrente (“Se oggi è
predominante l’individuo visto come antecedente la comunità, la parte vista
prima del tutto, il bene del gruppo cercato prima di quello collettivo, la
prospettiva aperta dal cattolicesimo è proprio l’inverso: il cattolico sa
infatti che il suo essere si pone sempre e innanzitutto in un quadro di
relazioni interpersonali. Il cattolico è per altri: per il prossimo e per il
lontano; per l’altro uomo e per Dio”).
Sulle
conseguenze pratiche si svilupperanno, domani, i lavori dei gruppi. Fabris ha
indicato alcuni spunti: il lavoro “come espressione di umanità e non solo come
forma di businnes né come forma di
sfruttamento”; l’educazione “per superare ogni forma di individualismo
esasperato”; l’ accoglienza “nel contesto di diritti e doveri”; il rilancio
della mobilità sociale (“Non ci può essere ripresa se i nostri ragazzi non sono
messi in condizione di diventare protagonisti della costruzione di progetti
comuni. Un’Italia e una Toscana con il freno a mano non consentono ai tanti
talenti, che pure abbiamo, di potersi esprimere”). l’obbligo di restituire
dignità alla politica (“si tratta di completare la transizione ripensando i
modi della politica”). Occorre in definitiva – ha concluso – “un nuovo
umanesimo che nasce dalla consapevolezza del nostro essere legati gli uni agli
altri”. Anche nella Toscana, culla dell’umanesimo, si deve “cambiare rotta”.
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[Venerdì 3 maggio 2013 | 18:10 – © Quarrata/news]
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