sabato 4 maggio 2013

“DIES IRAE”, TERZO E PENULTIMO APPUNTAMENTO DI ‘TEATRI DI CONFINE’

di LUIGI SCARDIGLI

Cinque episodi intorno alla fine della specie riassunti con assoluta fedeltà descrittiva

PISTOIA. Qualche spunto è geniale e anche la tecnica ideologica appartiene, fedelmente, al confine del teatro. Ma a Dies irae, terzo e penultimo appuntamento di Teatri di confine, la gradevole ed inaspettata rassegna postuma della stagione ufficiale, rappresentata ieri sera al teatro Bolognini di Pistoia, qualcosa per saltare, con eleganza e disinvoltura, la staccionata, è forse mancato. Un po’ di velocità, una scioltezza scenica che probabilmente acquisteranno, i quattro ragazzi (Sara Bonaventura, Iacopo Braca, Matteo Ceccarelli e Claudio Cirri), con il trascorrere del tempo e non solo quello scandito, a ritroso, alla testa del palco, una spada di Damocle con la quale si sono misurati con un pizzico di apprensione.

Si è trattato di cinque episodi intorno alla fine della specie, che sono stati, tutti, men che l’ultimo, riassunti, con fedeltà descrittiva da sembrare un rapporto della Benemerita, da uno dei quattro attori impegnati, il più audace, o più disinvolto, se preferite, visto che nel bel mezzo della rappresentazione si è presentato completamente nudo sul palco senza tradire la benché minima emozione, un’impudicizia appena velata, nell’apparizione successiva, dalla chitarra – che gli copriva la pancia e la parte superiore del gioiello – che portava a tracolla per intonare Alleluja, naturalmente, la colonna sonora dello spettacolo, affidata alla versione crooner-cavernicola di Leonard Cohen e di altre stelle dell’emisfero musicale.
E non sono servite nemmeno le risate sguaiate profuse con immotivata allegria da qualche astante e con le quali, l’intera platea, ha dovuto convivere il primo quarto d’ora dello spettacolo per consentire ai giorni dell’ira di spiccare il volo. Resta comunque, piacevolissimo, lo sforzo di non cadere nelle strapilotate, inutili e per qualche aspetto nocive riletture dei testi più che inflazionati e di aver voluto immaginare cosa resterà, a questa martoriata umanità, il giorno dopo l’ultimo: una serie di gags radiofoniche, qualche sketch televisivo, l’immancabile ed indispensabile intermezzo pubblicitario e un forzoso coinvolgimento del pubblico e con il pubblico che ha leggermente abbassato il pathos, demenziale e ironico, che avrebbe potuto continuare a volare in quota.
Meglio sì che no, comunque; meglio vederli all’opera gli artefici di Teatro Sotterranneo in questa scrittura di Daniele Villa, che si divertono ad imbrattare, con lo spray-sangue, la prima scena e sulla quale lavorano le successive, coprendo e sciacquando lo spazio recitativo con delle semplici distese di materiale biodegradabile, che dover ossequiare qualche star del firmamento che non si è purtroppo accorta del trascorrere del tempo e che ignora che il proprio fulgore è ormai soltanto una luce riflessa dal tempo, un’illusione ottica, una disillusione artistica, un controsenso culturale.
La città, però, al momento, al cospetto di questa scappatoia teatrale, artifizio artistico, reagisce timidamente, mostrando pose xenofobe che senza impaurire o lasciar presagire il peggio fanno comunque intendere che ci vorrà ancora molto tempo, e soprattutto pazienza, perché quell’altro mondo che qualcuno aspetta a gloria diventi, per tutti, se non possibile, almeno desiderabile.

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[Sabato 4 maggio 2013 | 07:9 - © Quarrata/news]

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