di LUIGI SCARDIGLI
Cinque episodi
intorno alla fine della specie riassunti con assoluta fedeltà descrittiva
PISTOIA. Qualche spunto è geniale e anche la tecnica ideologica
appartiene, fedelmente, al confine del teatro. Ma a Dies irae, terzo e penultimo appuntamento di Teatri di confine, la gradevole ed inaspettata rassegna postuma della
stagione ufficiale, rappresentata ieri sera al teatro Bolognini di Pistoia,
qualcosa per saltare, con eleganza e disinvoltura, la staccionata, è forse
mancato. Un po’ di velocità, una scioltezza scenica che probabilmente
acquisteranno, i quattro ragazzi (Sara Bonaventura, Iacopo Braca, Matteo
Ceccarelli e Claudio Cirri), con il trascorrere del tempo e non solo quello
scandito, a ritroso, alla testa del palco, una spada di Damocle con la quale si
sono misurati con un pizzico di apprensione.
Si è trattato
di cinque episodi intorno alla fine della
specie, che sono stati, tutti, men che l’ultimo, riassunti, con fedeltà
descrittiva da sembrare un rapporto della Benemerita, da uno dei quattro attori
impegnati, il più audace, o più disinvolto, se preferite, visto che nel bel
mezzo della rappresentazione si è presentato completamente nudo sul palco senza
tradire la benché minima emozione, un’impudicizia
appena velata, nell’apparizione successiva, dalla chitarra – che gli copriva la
pancia e la parte superiore del gioiello
– che portava a tracolla per intonare Alleluja,
naturalmente, la colonna sonora dello spettacolo, affidata alla versione
crooner-cavernicola di Leonard Cohen e di altre stelle dell’emisfero musicale.
E non
sono servite nemmeno le risate sguaiate profuse con immotivata allegria da
qualche astante e con le quali, l’intera platea, ha dovuto convivere il primo
quarto d’ora dello spettacolo per consentire ai giorni dell’ira di spiccare il volo. Resta comunque,
piacevolissimo, lo sforzo di non cadere nelle strapilotate, inutili e per
qualche aspetto nocive riletture dei testi più che inflazionati e di aver
voluto immaginare cosa resterà, a questa martoriata umanità, il giorno dopo l’ultimo:
una serie di gags radiofoniche, qualche sketch televisivo, l’immancabile ed
indispensabile intermezzo pubblicitario e un forzoso coinvolgimento del
pubblico e con il pubblico che ha leggermente abbassato il pathos, demenziale e
ironico, che avrebbe potuto continuare a volare in quota.
Meglio sì
che no, comunque; meglio vederli all’opera gli artefici di Teatro Sotterranneo
in questa scrittura di Daniele Villa, che si divertono ad imbrattare, con lo
spray-sangue, la prima scena e sulla quale lavorano le successive, coprendo e
sciacquando lo spazio recitativo con delle semplici distese di materiale
biodegradabile, che dover ossequiare qualche star del firmamento che non si è
purtroppo accorta del trascorrere del tempo e che ignora che il proprio fulgore
è ormai soltanto una luce riflessa dal tempo, un’illusione ottica, una
disillusione artistica, un controsenso culturale.
La città,
però, al momento, al cospetto di questa scappatoia teatrale, artifizio
artistico, reagisce timidamente, mostrando pose xenofobe che senza impaurire o
lasciar presagire il peggio fanno comunque intendere che ci vorrà ancora molto
tempo, e soprattutto pazienza, perché quell’altro mondo che qualcuno aspetta a
gloria diventi, per tutti, se non possibile, almeno desiderabile.
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[Sabato 4 maggio 2013 | 07:9 - © Quarrata/news]
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