di LUIGI SCARDIGLI
Qualche riflessione sulle prospettive
di una città ricca di potenzialità, ma povera di esiti
PISTOIA. Poco Confine e
tanto Teatro in questa rassegna
suppletiva della stagione dell’Atp – Teatri
Di Confine – che ieri sera ha chiuso i battenti con la quarta replica di
Maros-Gelo, il pluririadattamento di
Renata Palminiello delle Tre sorelle
di Anton Cechov. A dimostrazione, qualora ce ne fosse ancora bisogno, che l’arte
si muove su piani dialettici infiniti, a patto che siano piani artistici: altrimenti è baruffa,
semplice improvvisazione, millanteria.
Certo, la profondità culturale e
scenica de La Commedia e Maros-Gelo, il prologo e l’epilogo di
questo cartellone piovuto dal cielo dei meriti conquistati sul campo, anzi, sul
palco, dall’Atp e riconosciuti tali dalla Regione Toscana, è decisamente più
forte e robusta della simpatia, ironica e tagliente, satirica e surreale, del
teatro di Daniele Ciprì, che al Bolognini ha appassionato la ristretta cerchia
degli spettatori con un divertentissimo, ma cinico, Perdere la faccia; così come nemmeno Dies Irae, suggerimenti post atomici del Teatro Sotterraneo, possono reggere l’urto della polifonia
orchestrale del salotto russo o la danza multimediale e multietnica di Emio
Greco e Pieter Scholten.
Resta comunque il dato,
incontrovertibilmente gradevole, bello, arioso e soprattutto indispensabile, di
come l’arte teatrale produca un effetto mirabolante e suggestivo sugli
spettatori, soprattutto su quelli più facilmente vulnerabili e che si sentono
in dovere, perché è un diritto, organizzare la propria capacità espressiva e
trasformarla in spettacolo, passando attraverso le forche caudine dello studio, preventivo, sistematico, matto e
disperatissimo.
Occorre trasformare questa città di
alcuni buoni propositi in un crocchio riconoscibile e riconosciuto di
informazione artistica, che sulla leva di alcune rappresentazioni costruisce
attorno a queste un universo di progetti culturali. Così come sarebbe dovuto
succedere con la Musica – con la M maiuscola – visto il prestigio di chi ha
onorato piazza del Duomo con la sua presenza in 33 anni di Blues’In: alla soglia della 34esima edizione di un Festival che si
riattesta, per l’ennesima volta, ai vertici della manifestazioni musicali
internazionali, invece, in città si stenta, troppo, quasi indecorosamente, nel
riuscire a sentir suonare piccoli e grandi virgulti indigeni che proprio dalle
note di quelle intonate nel lontanissimo, preistorico, 14 luglio 1980, si
lasciarono, irrimediabilmente, ammaliare, diventando, attraverso ricerca,
abnegazione e tanti, tanti sacrifici, a loro volta grandi musicisti.
L’arte è un progetto a lunga scadenza:
occorre avere le idee chiare per disegnarne la traiettoria.
Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
[Lunedì 13 maggio 2013 | 21:13 - © Quarrata/news]
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