VENERDÌ 3 maggio, si è svolto un bell’incontro dal titolo “Libertà al tempo della
crisi” organizzato dall’associazione culturale “Sur les murs” e dal movimento
liberale dei “Tea Party”, il cui coordinatore in Toscana è Luca Benesperi. Il
confronto è stato mediato da Francesco Cipriani dell’associazione “Sur les Murs”.
Le posizioni messe a confronto erano sostenute da una
parte dal Prof. Marco Tarchi, docente universitario presso la facoltà di
Scienze Politiche di Firenze e ideologo della Nuova Destra italiana, dall’altra
da Davide Giacalone, editorialista, pubblicista e direttore di Rtl 102,5.
La serata, molto partecipata in particolare da
giovani, si è sviluppata intorno ai temi della genesi della crisi quindi del
ruolo di banche e finanza, del rapporto tra crisi e la “ventata” di
antipolitica nell’Europa odierna e del rapporto sussistente tra politica e
sistema bancario. Per finire con quali avrebbero potuto essere le possibili vie
d’uscita.
Gli oratori, dalle posizioni a tratti diametralmente opposte, hanno fornito ottimi spunti di riflessione sulla questione della globalizzazione e in che termini questa, nell’attuale momento di crisi economica, sociale e culturale, incide sulle libertà di ciascuna persona e agente di mercato.
Gli oratori, dalle posizioni a tratti diametralmente opposte, hanno fornito ottimi spunti di riflessione sulla questione della globalizzazione e in che termini questa, nell’attuale momento di crisi economica, sociale e culturale, incide sulle libertà di ciascuna persona e agente di mercato.
Marco Tarchi è ricordato come l’ideologo della Nuova
Destra italiana, che si avvicina alla Nuovelle Droite francese di Alain
Benoist, che aveva tentato di svecchiare il dibattito politico e culturale all’interno
della destra sociale italiana; fu il creatore della rivista la Voce della Fogna
ed esponente del Fronte della Gioventù.
Lo scenario politico su cui Tarchi fa il punto della
situazione vede i partiti tradizionali sgretolarsi lentamente, in Italia e non
solo, a vantaggio di nuovi soggetti politici lontani eredi del fascismo “meno
di destra” ma soprattutto dei “populismi” demagogici che non si riconoscono
nelle dinamiche della democrazia liberale e rappresentativa che oggi traballa
un po’ in tutta Europa.
Finisce per dichiarare che
non sa se usciremo dalla crisi da destra da sinistra o dal centro perché
essenzialmente non sa se ne usciremo... essenzialmente a causa del debito
pubblico che malgrado i tagli cresce di mese in mese. Tuttavia, sostiene, il
meccanismo di opposizione bipolare funziona come fascia di contenimento contro
sbilanciamenti eccessivi. Da questo ne guadagna il centro e così è per le
istituzioni sovranazionali per cui a meno di ulteriori fattori di avvitamento
della crisi è proprio dal centro che possiamo attenderci la salvezza.
Dal canto dei Tea Party,
Davide Giacalone, liberale e liberista convinto quanto più è dato oggi in
Italia, è distinto e distante dallo Stato che avvelena di tasse, che inceppa i
meccanismi della produzione ostruendo ogni possibile fuoriuscita di sana
creatività tipica di quello che è il più bello ed il più libero paese del
mondo. Giacalone ci richiama a dove ci troviamo: stiamo facendo l’aperitivo
sotto il fregio robbiano dell’Ospedale del Ceppo ed è per noi del tutto
normale, quante piazze belle di storia e di opere d’arte immortali abbiamo, c’è
l’imbarazzo della scelta in questa nostra Italia e quindi facciamola girare
facciamola produrre e riconosciamo come cittadini tutti quelli che lo
desiderano perché il mondo è senza confini, la globalizzazione non è di là da
venire, è del tutto realizzata e sfidante.
Davide
Giacalone non ha fiducia nel fatto che lo Stato sia in grado di risolvere la
crisi
Anzi ritiene “che la
violenza potrebbe crescere, spinta dalla crisi. Più di una sirena suona questo
allarme, mentre c’è chi giustifica (Boldrini), chi prevede (Grillo) e chi
ammonisce (Alfano). C’è un nesso, un filo di continuità, fra la violenza di
ieri e quella di oggi? Fra gli anni di piombo e quelli di odio? È possibile che
torni il passato? Nel ricordare, oggi, le vittime del terrorismo sarà bene non
dimenticare che c’è chi sta lottando fra la vita e la morte, colpito dalla
terrificante nullità di un criminale, salutato dalla presidente della Camera
come una “vittima”. Gli ipocriti compatitori odierni sono come i cattivi maestri
d’un tempo?
Il passato non torna. Gli
anni di piombo furono il pezzo di una storia più grande, quella della guerra
fredda. I terroristi di allora ebbero istruzione e appoggi logistici dai
servizi dell’est. Alcuni di loro, come Mario Moretti, erano agenti dell’est.
Tanti altri erano dei cretini ideologizzati soggetti d’imbarazzante ottusità,
davvero convinti di star completando l’opera dei partigiani. Eppure, tanto
vuoto culturale fece gran moda nei salotti, nelle redazioni, nelle case
editrici. Non ebbe mai seguito di massa, anche se si sosteneva il contrario.”...
“Oggi è tutto diverso. Nelle
redazioni ci sono ancora i raccomandati dall’estremismo di ieri, sicché sono
come i reduci che credono sia unica nella storia la loro (farlocca e
profittatrice) guerra. Nelle case editrici hanno le pezze al sedere, e comunque
non producono roba leggibile. Eppure non c’è da prendere la cosa sottogamba,
perché, a naso, direi che il potenziale seguito odierno e maggiore di quello
che fu”.
Ma dal punto di vista della
tenuta sociale la crisi farà da detonatore? Questo è il punto più importante:
non la crisi, ma l’impossibilità di usare la spesa pubblica. Oggi quello
strumento è inceppato.
Ci si è impegnati, per anni
e anni, a ripetere e dimostrare che i guai dei molti derivano dalle colpe di
pochi. S’è soffiato sull’odio politico, sociale, fiscale, ora anche sessuale.
Il linguaggio pubblico s’è sempre più involgarito, riflettendo pensieri a loro
volta zotici. Quindi è arrivato Giuseppe Grillo, che ha dato proiezione parlamentare
a questa minestra, aggiungendo la condanna della violenza, però, e ritraendosi
quando ha rischiato d’innescarla. Ora vedo che c’è chi gli fa concorrenza,
scavalcandolo nel giustificare, tollerare, sollecitare.
E così sull’imposizione
fiscale, ormai intollerabile, Giacalone parla dell’Imu e della lotta
ingaggiata dai governanti per conquistare consensi su questo argomento
L’Imu
è diventato un totem, una palo simbolico cui si danza intorno. Chi per trovare
la propria identità e chi per far cadere il governo. A forza di danzare si
perde anche l’orientamento, oltre che la memoria. Il che induce lo sciamano
democristiano, il grande capo Letta Enrico, a esser fiducioso nel supporre di
potere cucinare i danzatori uno a uno, nel lento fuoco della perdita di tempo.
La cosa grottesca, però, è
che in un gioco politico normale noi dovremmo avere la destra che propone di
gravare il meno possibile sulle imprese e la sinistra che prova a difendere i
consumatori, invece abbiamo la destra che reclama la detassazione della prima
casa. Non ne faccio una questione morale, che del moralismo fiscale ho piene
(anzi: vuote) le tasche, ma segnalo quanto il caos confonda le idee. Nella
sostanza, comunque, il gettito Imu è pari a 24 miliardi l’anno, di cui 4
vengono dalle prime case. Non vedo perché sarebbe risolutivo cancellare i 4
(che non lo saranno) e lasciare i 20, posto che in alcuni settori, come quello
agricolo, sono più che sufficienti per portare fuori mercato non pochi
produttori.
Dice la sinistra: lasciamo
l’Imu ma esentiamo i redditi bassi. Una bella gara: la destra che propone di
cancellare l’imposta e la sinistra gli imposti, ma intente ad azzuffarsi.
Segnalo, però, che in Italia sono tutti redditi bassi, tranne uno sparuto
drappello di masochisti fiscali. Segnalo, inoltre, che le patrimoniali si
commisurano al patrimonio, non al reddito. Insomma, ballano attorno al totem ma
non sanno più, da una parte e dall’altra, che cavolo di danza stanno facendo.
Da qui il sorriso sornione
dello sciamano: rimandiamo tutto, approfondiamo, non cancelliamo, ma
ripensiamo. Semmai mancassero soldi li prendiamo da un’altra parte. Così
saranno contenti le capre e i cavoli (scelga ciascuno come distribuire le
parti), salvo il fatto che a pagare saranno, più o meno, le medesime tasche.
Come andrà a finire? E chi
vi dice che andrà a finire? Andrà nel calderone del sistema fiscale da
rimodellare...
Nessuno
dei due interlocutori si azzarda a fare previsioni meno che vaghe sulla
possibilità di uscire dalla crisi ma nell’argomentare, nel trascorrere della
serata, si è capito bene che ad ogni ragazzo che lascia l’Italia, l’Italia
perde forza, perde ricchezza e del resto in Italia oggi i giovani non possono
immaginare di comprarsi una casa e anzi devono fare un grande sforzo per pagare
l’Imu su quella che gli hanno lasciato i nonni. Dobbiamo uscirne, bisogna solo
capire se lo Stato è la soluzione o se non lo sia il mercato...
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[Martedì 14 maggio 2013 | 08:10 - © Quarrata/news]
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