venerdì 10 maggio 2013

LA NOSTRA GUERRA NON È MAI FINITA


Il libro di Giovanni Tizian sarà presentato domani, 11 maggio, alle 18, a Lo Spazio di via dell’Ospizio

PISTOIA. Sabato 11 maggio alle ore 17, presso Lo Spazio di via dell’ospizio, in collaborazione con Legambiente Pistoia, verrà presentato il libro di Giovanni Tizian, La nostra guerra non è mai finita (Mondadori, 2013, p. 227, euro 16,00). 
Ne discuteranno con l’autore, Antonio Pergolizzi (Responsabile Ecomafie Legambiente), Antonio Sessa (Presidente Legambiente Pistoia). Modererà il dibattito Daniela Sgambellone. 
«Il 23 ottobre 1989 uccidono mio padre, ho sette anni e mi dicono l’essenziale. Starà poi a me ricostruire tutto, per ridargli dignità». Nasce per questo La nostra guerra non è mai finita, viaggio personale e collettivo nei rapporti tra ndrangheta, mafia e politica, di Giovanni Tizian, giornalista sotto scorta, classe 1982.

«Ce ne siamo andati dalla Calabria nel 1993, su una familiare, direzione nord, come emigranti. E su una macchina sono tornato indietro, attraverso il simbolo del potere mafioso, la Salerno-Reggio Calabria». Un viaggio in cui «incontro familiari di vittime della mafia, storie di una Calabria dimenticata, ma che rappresentava un’alternativa, abbandonata mentre la ndrangheta avanzava verso nord, tra Emilia, Liguria, Lombardia, Piemonte». Una colonizzazione già raccontata da Tizian in Gotica. ’ndrangheta, mafia e camorra oltrepassano la linea (Round Robin, 2011), libro che gli è costato minacce tali da finire sotto scorta. Ma lui non ha cambiato né aria, né oggetto delle sue inchieste. In fondo, sempre per suo padre. 
«Nel 2006 richiedo il fascicolo di mio padre al tribunale di Locri, me lo danno due anni dopo e trovo una storia di piste individuate e non battute». Nel faldone di carte incontra «immagini che mia madre non voleva io vedessi. Un corpo attraversato da colpi di lupara che chiedeva verità». Era il 1989, «in Calabria è l’anno dei record di omicidi e rapimenti. Non esisteva una procura antimafia, a Locri c’erano solo quattro magistrati, sotto pressione mediatica per i sequestrati del nord portati nella Locride, e su mio padre non trovano una pista da seguire perché è una persona senza macchia. Paradossale: se sei troppo onesto non trovi giustizia. Lavorava in banca, ma la pista bancaria è abbandonata per quella passionale, si parla di un marito geloso che assolda due killer della ndrangheta per vendetta. Un omicidio particolare, però, e non c’è traccia nel faldone di interrogatori al marito, legato per altro alla ndrangheta. Anche questa pista è accantonata. E anche se alla fine si scoprono quattro dei cinque numeri di serie della lupara, e il pentito Francesco Fonti fa dichiarazioni interessanti da accertare, si archivia il caso. Un’indagine scandalosa». 
Nel 1988 la famiglia Tizian aveva subito un altro attentato: al mobilificio del nonno di Giovanni, «un’intimidazione per cacciarci. Invece la mia famiglia resiste, rimette in piedi l’azienda, fino all’omicidio di mio padre. Allora non abbiamo più scelta. Mia nonna decide che dobbiamo emigrare, una fuga di cui sono molto contento e di cui l’ho ringraziata anche poco prima che morisse. In quel territorio non potevamo andare avanti». E arrivano in Emilia Romagna, terra della Resistenza, a Modena. «Ma qui purtroppo ho ritrovato quel che avevo lasciato. Incontro fenomeni che richiamano la mafia. Mi assumo responsabilità come giornalista e m’interrogo sul numero enorme d’incendi dolosi trattati come notiziole: solo a Modena in 2 anni sono 200. Diventa un fatto criminale complesso, si ritrovano azioni di clan e si scopre dal processo Spartacus contro i Casalesi che Modena è un centro importante. Bastava leggere meglio i fenomeni per capire cosa stava succedendo». 
Tizian denuncia il rapporto tra aziende del nord e ndrangheta, nato nei subappalti della Salerno-Reggio Calabria per motivi di convenienza, poi «esportato al nord, dalla tangenziale di Reggio Emilia alla Tav, dall’Expo alle ricostruzioni del dopo terremoto, a l’Aquila come in Emilia Romagna». Fatti denunciati anche nel documentario L’avanzata criminale, economica e culturale delle mafie nell’Emilia-Romagna che resiste dello stesso Tizian, presentato alle Scuderie di piazza Verdi il 16 aprile scorso. «Sono questioni da risolvere a livello politico», dice Tizian, che però sa quanto «il contatto tra mafia e politica è vitale, perché significa protezione. Senza questo legame parleremmo di criminalità organizzata e basta, non di mafia». 

Giovanni Tizian, giornalista del gruppo l’Espresso, è della generazione nata nel 1982. Scrive per il quotidiano la Repubblica e il settimanale l’Espresso. Ma non ha abbandonato la Gazzetta di Modena, dove nel 2006 ha iniziato a scrivere di cronaca. Si occupa di giudiziaria, e soprattutto ama scavare la superficie della cronaca e realizzare inchieste. Le relazioni tra mondo economico e organizzazioni mafiose, sono spesso al centro delle sue inchieste. Ha conseguito la laurea in Criminologia nel 2008, con una tesi sulla “‘ndrangheta transnazionale”. È autore di “Gotica, ‘ndrangheta, mafia e camorra oltrepassano la linea” edito da Round Robin (novembre 2011). Da dicembre scorso è costretto a vivere sotto scorta. A giugno 2012 gli è stato assegnato il premio per i cronisti di provincia dedicato a Enzo Biagi, per gli articoli pubblicati nel corso del 2011 su la Gazzetta di Modena. Sempre nello stesso anno ha ricevuto una menzione speciale al premio Biagio Agnes. E l’Archivio per il disarmo l’ha premiato con la “Colomba d’oro per la pace”. Tutti i premi li ha dedicati ai giornalisti precari e sfruttati, e minacciati. “Tanti, troppi colleghi vivono condizioni di pericolo solo perché raccontano come stanno le cose in questo Paese”, ripete sempre.

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[Venerdì 10 maggio 2013 | 10:14 - © Quarrata/news]

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