di LUIGI SCARDIGLI
PISTOIA. Ironia sfruttata con il freno a mano e un’improbabile
ricerca dialettale sono, probabilmente, le uniche due piccole pecche che non
fanno decollare a dovere lo spettacolo di Monica Menchi, Lisistrata e le altre, una buffa, ma non certo peregrina, idea di
come convincere gli uomini a desistere dalle proprie velleità belligeranti.
La contestualizzazione della farsa
aristofanesca, a suon di ravemusic e abiti succinti, andrebbe sicuramente ben
oltre lo steccato se i diciassette protagonisti pensassero più a soffrire, un
po’ meno ad urlare e a non prendersi così sul serio.
L’idea, comunque, resta valida ed
apprezzabile, soprattutto perché nonostante i secoli e le distanze, il
maschismo della guerra continua ad essere un controsenso umano che salva ed
eleva il popolo delle donne, nella rappresentazione della Menchi forse un po’
troppo spinto verso il parossismo.
Anche perché, la scenografie e i
costumi sarebbero già stati oltremodo sufficienti a traghettare le gesta
ateniesi nel terzo millennio, senza dover necessariamente essere così espliciti
dal dover suggerire alla regista, sugli inviti, di apporre, nel catenaccio, che lo spettacolo è consigliato ad un pubblico adulto.
Anzi, proprio perché la nostra
generazione, di genitori con figli nel bel mezzo del guado, ha il dovere di
suggerire loro gli anticorpi all’intolleranza, che questa Lisistrata andrebbe
rimodulata e resa fruibile anche a un pubblico di adolescenti, sempre più
attratti e sedotti dai miti del bullismo e sempre meno da quelli, pacifisti ed
equosolidali, del piacere epicureo.
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Foto di Luigi Scardigli.
[Venerdì 8 febbraio 2013 | 10:13 - © Quarrata/news]
Mi dispiace leggere che lo spettacolo non ti abbia convinto. Mi dispiace soprattutto alla luce del bel calore che invece ci ha trasmesso il pubblico di Bottegone ieri sera. Comunque ogni gusto personale e ogni critica sono giustamente legittimi. Permettimi di fare solo un paio di appunti alla tua recensione. Il "catenaccio" al pubblico minorile è stato messo per via del linguaggio, come ti sarai accorto un bel po' forte, del testo. Forte ma parecchio edulcorato rispetto alla versione originale di Aristofane, che t'invito a leggere, qual'ora non lo avessi già fatto, poiché è davvero un bellissimo testo. Non certo per i contenuti, né le vesti succinte. La versione dialettale, che tu definisci "improbabile", viene modulata invece da una lunga tradizione teatrale di rivisitazione di Aristofane in chiave di dialetti italiani.
RispondiEliminaInoltre, perdonami, ma mi sfugge completamente il senso del discorso sugli attori che dovrebbero "pensare più a soffrire, un po’ meno ad urlare e a non prendersi così sul serio". Questa davvero non l'ho capita.
Le critiche, si sa, quando son costruttive si prendono volentieri come occasione di crescita e miglioramento. Per cui spero che lo sia anche la tua. Se vorrai delucidarmi in merito te ne sarò assai grata.
Buona giornata. Barbara.
Con rammarico debbo notare quanto poco sia stata compres al regia della Menchi nell'allestimento di "Lisistrata e le altre". L'adattamento è volutamente "sopra le righe" nella scelta dei costumi, del linguaggio, e, in generale, nella scelta di adattare il testo greco all'atmosfera della postmodernità. E lo è coerentemente con il testo del commediografo greco poiché è lo stesso Aristofane ad autorizzare queste scelte. Tutta l'opera è percorsa, come ben nota il collega, da un senso di drammaticità latente per una società scossa dalle logiche maschiliste della guerra, del potere e del denaro, una drammaticità che nasce dal "riso" esasperato, dal grottesco portato all'estremo, dall'esaltazione di quell'irrazionale che i Greci antichi ben han dimostrato di aver compreso e che la regia della Menchi sa portare alla luce. Un mondo femminile, quello della Menchi, fatto di piccole tragedie quotidiane, di coraggio, di sfrontatezza, di urla quale unico rimedio che le donne hanno per far udire la loro voce. L'invito, dunque, rivolto a tutti, compresa la sottoscritta, è a rileggere con attenzione il testo. Quanto all'osservazione che gli attori si prendono, forse, troppo sul serio, solo posso ribattere che il "prendersi sul serio" è la linea di demarcazione tra un teatro fatto sì di attori non professionisti, ma capace di elevarsi al di sopra del dilettantismo, e un teatro che, trincerandosi dietro la necessità di abbandonarsi al sentimento e all'improvvisazione, dimentica che queste cose hanno senso solo se poggiano sulla tecnica. Francesca
RispondiEliminaRicevo e inoltro:
RispondiElimina"Egregio Sig. Scardigli,
temo che Lei sopravvaluti le capacità della regista e degli attori di Progetto Teatro. Neppure concentrando in una sola serata gli errori commessi in 20 anni di attività sarebbe possibile raggiungere il livello di mediocrità al quale, secondo Lei, si troverebbe il nostro spettacolo.
Non siamo in grado di trasformare un lavoro che dal giorno del debutto molti autorevoli esperti in materia hanno giudicato, valutandone pregi e difetti, un buon prodotto, nel fallimento che Lei descrive con tanto zelo. Non possediamo fantasia e temerarietà in misura bastante ad un simile tracollo.
L'allestimento di uno spettacolo come quello presentato il 7 Febbraio scorso al Concorso Rafanelli, con tanti personaggi spesso in scena contemporaneamente, esige la continua ricerca di un difficile equilibrio, equilibrio da noi apprezzato anche nei giudizi, positivi o negativi, espressi dagli altri sul nostro operato.
Ci permettiamo di farLe notare che il suo giudizio non possiede tale requisito, ma è, al contrario, così fazioso e ostile da apparire surreale.
Distinti saluti
Francesco Scorcelletti"