di LUIGI SCARDIGLI
PISTOIA. Polifonico, orchestrale, sovra e sub strutturato;
complesso, molto complesso, ma fluido, arioso, coinvolgente, auto contaminante,
storico e futuribile. E forse nemmeno loro, i giovanissimi, ma bravissimi
attori, si sono resi conto che quello che si sono lasciati cucire addosso da
Renata Palminiello, la regista di Maros-Gelo,
riadattamento di uno spaccato delle Tre
sorelle di Anton Cechov, è un biglietto da visita che non potrà che portar
molta fortuna a tutti loro, indistintamente.
Ieri pomeriggio, alle ore 18, nell’atrio
della Villa di Scornio, al Villone Puccini, è andata in scena la prima delle
quattro rappresentazioni con le quali si chiude la rassegna Teatri Di Confine, che ha esordito, al
Manzoni, con La Commedia, la danza
teatrale di Emio Greco e Pieter Scholten, proseguita al Bolognini con il
cinismo teatrale di Daniele Ciprì, Perdere
la faccia, per ritrovarsi ancora al Bolognini con Dies Irae, cinque suggerimenti per la convivenza postatomica. Alle
21, sempre di ieri, con qualche arrocco
artistico (al posto di una straordinaria Sena Lippi, pistoiese, una sua
concittadina, Camilla Bonacchi), lo staff della Palminiello è andato in
replica, una megafotografia storica che si rinnoverà, sempre alla Villa di
Scornio, oggi e stasera, alle 18 e alle 21.
Bellissimo, come un compasso impazzito
che cerca di descrivere, contemporaneamente, più circonferenze affidando il
centro e il nucleo della conversazione ad una punta danzante, che a volte
sussurra il proprio dolore, altre urla la felicità, una sequenza
incontrollabile di rette e semirette che si intersecano su un piano mai fisso,
ondulato e irriverente, ma che rispetta, con fedeltà morbosa e maniacale, le
regole del teatro.
Un teatro di settore, ma solo dal punto
di vista dell’osservazione, perché il ristrettissimo numero di spettatori non
può e non deve, pena lo svilimento delle passioni, riuscire a seguire ogni
dettaglio: le intime conversazioni di Olga (Carolina Cangini) e Irina (Sena
Lippi), vengono sopraffatte, ma conservate e rispedite in un altro angolo dell’appartamento,
dall’alterco tra il barone (Costantino Buttitta) e il capitano (Lorenzo De
Laugier, il terzo indigeno della compagnia), con un sottofondo, spesso
imperante, pilotato da Giuliano Comin, il medico che ha dimenticato gli studi
universitari.
Un tourbillon spesso caotico,
leibniziano, con una visione volutamente distorta e angolare di una scena che
va ben oltre la capacità roteatoria dell’orbita oculare, uno squarciato
temporale senza tempo, con i sentimenti che mutano e si adattano, per poi
morire, ma senza invecchiare.
Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
Foto di Luigi Scardigli.
[Sabato 11 maggio 2013 | 16:57 - © Quarrata/news]
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