venerdì 8 aprile 2011

L’OPINIONE. COMUNISTA PERCHÉ…

di Luigi Scardigli


Accetto le sfide, figuriamoci gli inviti.
Sì, sono comunista e lo sono dalla tenera età. Mi convinsero mia madre, abile e umile casalinga di un progetto esistenziale, donna tuttofare, complice straordinaria di sacrifici e rinunce, ma sistematicamente attiva alla progettualità, e mio padre, un democristiano di vecchio lignaggio, un abile giornalista, un ottimo dirigente della pubblica amministrazione, un sindacalista infaticabile, un cattolico osservante, una persona che ha sempre creduto nella divina provvidenza, fede che lo ha puntualmente ripagato.
Mi convinsero, in tenera età, la loro onestà, il rispettivo senso del dovere, la sistematica tolleranza del prossimo e con il prossimo, la loro fede nella giustizia che sta dalla parte degli umili e degli ultimi, la loro coerenza, ma soprattutto la loro totale abnegazione alla causa della famiglia: i miei genitori sono stati tali solo e soltanto per consentire a noi figli (ho una sorella) di poter fare altrettanto con i nostri figli; un senso strettissimo ed aulico di proletariato.
Così sono cresciuto, respirando tutti i giorni quell’aria: ho avuto la fortuna di poter studiare (nelle scuole pubbliche, dove ho trovato i figli degli amici di mio padre, mai quelli dei leaders comunisti) fino a laurearmi. Sono stato, nella mia gioventù romana, un gruppettaro (slang metropolitano nel quale si identificavano gli extraparlamentari di sinistra più avvezzi alla fantasia che alla rivoluzione), senza mai perdere di vista le dottrine familiari, fino a diventare un uomo, adottato, da quasi trent’anni, da Pistoia. E ho continuato ad essere comunista, nonostante la storia e la storia degli uomini della sinistra di questo paese abbiano fatto di tutto per farmi ricredere.
Sono rimasto comunista nonostante il Pci abbia deciso di rinnegare il proprio passato, decidendo di naufragare lentamente e inesorabilmente verso un’anonima ma agiata deriva; sono rimasto comunista anche quando la sinistra ufficiale decise di abbandonare, al proprio destino, i compagni che sbagliavano, lasciandoli morire uccisi dal piombo nelle piazze e dall’eroina nei giardini; sono rimasto comunista anche quando la sinistra, che pullulava di illustri storici e statisti, affidò ad uno dei più incalliti democristiani e abili trasformisti (Prodi) la presidenza del consiglio del primo governo, seppur molto sbiadito, comunque rosso. E sono rimasto comunista anche quando il compagno Bertinotti (uno di quelli che non ha davvero mai fatto un cazzo) decise fosse arrivato il momento di far saltare quel primo governo un po’ di sinistra e affidare il paese alla destra per la grande causa delle 35 ore settimanali.
Ho creduto di non smettere di essere comunista neanche quando la mia città adottiva, Pistoia, patria ricca di antifascisti, ma anche di guaritori e massoni, ha finto di non sentire le urla degli operai che agonizzavano di mesotelioma, voltandosi dall’altra parte per complimentarsi con gli ortovivaisti.
Sono rimasto comunista anche quando, sfogliando le pagine della storia di questo paese negli ultimi trent’anni mi sono accorto che i comunisti, i comunisti, non li hanno mai fatti, preoccupandosi soltanto, proprio come i nostri nemici, che non sono i loro, però, di assicurarsi privilegi e prestigi, favori e immunità, lussi e lauti prepensionamenti, cose queste che ai comunisti non dovrebbero importare, né interessare, dimenticando, tra l’altro, che una grossa percentuale dell’elettorato comunista è composta da quei poveri gonzi che per quarant’anni si alzano la mattina alle 6,30 per andare a lavorare e tornano a casa la sera distrutti per riuscire a sopravvivere, dalla pensione alla morte, con 800/900 euro al mese.
Sono rimasto comunista anche quando a sinistra nessuno ha iniziato a paventare l’idea che la politica, per noi comunisti, essendo una missione, non può trasformarsi in un lavoro, ma dovrebbe invece restare una missione, laica e al di sopra di ogni interesse, più che sospetto.
Sono e resterò comunista anche se nessuno, a sinistra, promuoverà mai la campagna rivoluzionaria dell’improrogabilità del mandato politico dopo due legislature, decidendo di tornare, dopo dieci anni spesi per la cosa pubblica, a fare il proprio più o meno modesto lavoro: lo faccio, da laico e comunista, perché, proprio come han fatto i miei genitori, cattolici e democristiani, a mia figlia, unica mia vera risorsa, almeno un esempio, come dote, possa lasciarglielo.

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[Venerdì 8 aprile 2011]

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