domenica 18 dicembre 2011

AMANDA SANDRELLI. CREDO IN UNUM DEUM


di Luigi Scardigli

«Non mi permetto il lusso di giudicare
perché nessuno di noi ha scelto»

«È già così difficile esistere, per me; non posso anche aggiungerci il lusso e il fardello di giudicare. Questa è la mia vita, questo il mio teatro».
Il sipario del teatro Yves Montand di Monsummano si è chiuso da pochi minuti. Amanda Sandrelli, accompagnata dall’orchestra multietnica di Arezzo, ha appena terminato, sotto una pioggia di fragorosissimi applausi, la sua triplice interpretazione, Credo in un solo Dio, un monologo strumentale che racconta la storia di tre donne che la storia, la vita e la morte decidono di far casualmente incontrare in un bar della Striscia di Gaza, in una piovosa sera d’aprile.

Con la tuta mimetica delle Forze internazionali di guerra e non certo di pace c’è Mina Wilkinson, che il regista, Stefano Massini, identifica illuminando la bravissima Amanda con una fascia di luce verde che cala, a picco, da un occhio di bue; quando la luce diventa blu invece, Amanda Sandrelli, che sfoglia con disinvoltura il copione appoggiato sul leggio, in elegante giacca e pantaloni neri, è Eden Golan, docente di storia ebraica; quando il fascio di luce diventa rosso, la tenerissima figlia d’arte ad origine controllatissima è Shrin Akhras, ventenne studentessa palestinese, martire convinta e predestinata.
«Non mi sono permessa il lusso di parteggiare per nessuna delle tre – mi ha detto nel camerino, concentrata nel fornire le risposte, ma anche a riporre, nel migliore dei modi, gli indumenti nel borsone, pronta per tornare a Roma –, perché sarei potuta essere tutte e tre e sono invece altro, ma solo per coincidenze. È per questo che non mi permetto il lusso di giudicare, perché nessuno di noi ha scelto. Sì, certo, mi sento più vicina alla docente ebraica, che non alla marines statunitense, ma questo dipende dalla cultura, dal mio background e anche qui siamo di nuovo al cospetto delle fatalità».
Credo in un solo Dio è davvero un geniale spunto teatrale, che il giovane regista, supportato magistralmente da Enrico Fink, chansonnier ufficiale della rappresentazione, nonché band leader dell’orchestra multietnica di Arezzo, che scandisce il tempo e la sofferenza del testo, ha deciso di affidare all’estro e all’istrione di Amanda Sandrelli, straordinaria soprattutto nell’indossare la mimetica della soldatessa americana, per poi liberarsene in favore di un abbigliamento assai più sobrio e proletario, come quello della giovane palestinese che sceglie la via del martirio, per vendicare le infamie subite dalla sua popolazione, velocissimo cambio virtuale di scena per truccarsi a dovere e diventare, con un semplice girotondo sul palco, l’elegante docente di storia.
Un vortice di emozioni e stati d’animo offerti con la discrezione che dovrebbe esser cara a noi giornalisti, immagini nitide e chiare che non si discostano dal nero serale della protagonista su una triplice realtà che si dà appuntamento in un bar di Gaza, in una sera di aprile, dove le tre storie verranno irreparabilmente a contatto, un epilogo storico, politico ed esistenziale che sembra assolvere tanto l’estremismo suicida della giovane palestinese, quanto il tentativo di capire e trovare una via d’uscita da parte della più matura docente di storia ebraica, fino a salvare anche il distratto e inconsapevole coinvolgimento della soldatessa americana, spettatrice disinteressata, ma spietata, di una contesa ideologica, religiosa e morale che stenta a leggere, prima ancora di capire.
Tutto questo sotto i colpi battenti di Luca Baldini, al basso, o con il sottofondo di una nenia araba intonata da Enrico Fink, o nello struggente e assordante lamento della viola e del violino di Natalia Orozco e Mariel Tajirai, o per provare a spiccare il volo e andare lontano, molto lontano, con il melodico messaggio del sax baritono di Danny De Ritis.
Amanda pare guidare il suono e il viaggio di una colonna sonora onnipresente ma mai invasiva, fino a celebrarne l’epilogo grazie ad un’architettonica modulazione timbrica, che la immerge e sottrae, sistematicamente, da quelle tre donne alle quali è convinta di poter somigliare maledettamente, solo se la vita l’avesse fatta essere altro.

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[Domenica 18 dicembre 2011 – © Quarrata/news 2011]

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