di LUIGI SCARDIGLI
Lo abbiamo incontrato al Funaro durante una lezione ai suoi
allievi
PISTOIA. «Un po’ di innatismo non credo che guasti. Anzi. Ma attori,
soprattutto, si diventa, studiando giorno e notte».
Massimo Grigò, di teatro, alle spalle,
ne ha un bel po’: collaborazioni sontuose, scuole altamente professionali e un
curriculum di tutto rispetto quello che, con una presenza fisico-atletica che
gli sottrae una decina d’anni ai 48 registrati all’anagrafe e una voce da
telefono inquietante, lo pone e lo
espone a qualsiasi ruolo all’interno di un qualsiasi circuito.
La ventina di allievi che ieri sera
stavano partecipando ad una delle serate del suo corso di teatro in una delle
tante aule minimali ma suggestive del Funaro
non si sono minimamente distratti se ad un certo momento della docenza, in
sala, siamo arrivati armati macchina digitale, penna e un foglio bianco sul
quale prendere appunti, tracciare sfumature, tradurre meccanismi,
Hanno continuato ad osservarlo, nei
minimi dettagli, scrutandogli le mani, le ondulazioni del torace, la
flessuosità delle mani, anche se stava semplicemente ricordando loro le date
dei prossimi appuntamenti e suggerendo la visione di alcuni spettacoli che si
consumeranno nel giro di breve tempo nei paraggi.
«Non c’è nulla di vecchio, nel teatro; chiunque può dirci e
darci qualcosa di importante: le lezioni le ha impartite Ronconi, ma anche
Orazio Costa. A me è successo così e lo raccomando a tutti gli allievi che seguono
i miei corsi: più cose si sanno, più sono i movimenti di cui si è in possesso e
più si progredisce. Nel teatro serve tutto: le mani come i piedi, lo sguardo
come l’anima, il busto come il collo, la voce. Non esistono pezzi pregiati
rispetto ad altri, non esistono arti superiori e inferiori».
Sabato prossimo, Massimo Grigò sarà al
teatro di Lamporecchio insieme agli altri colleghi che compongono il cast de L’impresario delle Smirne. La sera prima
sarà in Val d’Aosta, impegnato con un’altra rappresentazione. Ieri pomeriggio è
stato a prestare la voce per un video maker su Pinocchio, una produzione di un’etichetta indipendente. Per parlare
con lui però, nonostante questa sontuosa girandola di impegni, non occorre
prenotarsi: basta incontrarlo e fargli capire di essere in grado di potere o
volere intavolare un discorso che meriti attenzione. Il resto vien da solo. I
suoi allievi, questi del primo corso del Funaro
e le centinaia che hanno avuto il piacere di averlo come insegnante, queste
cose, le sanno perfettamente.
«Sono un diesel, ho bisogno di scaldare animo e interessi per
riuscire a dare il meglio. Diffido dei fuoriclasse,
anche se ho avuto il piacere e l’onore di incontrarli e lavorarci insieme, ma i
miglioramenti sono frutto di applicazione, studio, abnegazione, sacrificio. C’è
qualcuno che il teatro l’ha nel sangue, è vero: ma è una fortuna, questa, che
va necessariamente coltivata, messa al tornio, elaborata, costruita e
decomposta continuamente, altrimenti resta solo un buon proposito che corre
seriamente il rischio di finire lì, in una sagra di paese, o nelle barzellette
raccontate un qualsiasi sabato sera in un bar qualunque».
Gli allievi del primo corso hanno
terminato gli esercizi di riscaldamento: nessuno di loro ha le scarpe, ai
piedi; indossano i calzini antiscivolo, che sul parquet del Funaro fanno
esemplarmente al caso. Massimo riprende il discorso da dove l’aveva interrotto.
Loro non si sono affatto spazientiti: anche aspettare e gestire le attese è una
lezione importante, della quale non se ne può fare a meno.
Anche a teatro.
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Foto di Luigi Scardigli.
[Martedì 10 dicembre 2013 | 10:21 - © Quarrata/news]
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RispondiEliminaanch'io come Massimiliano ex allievi, dico che è un grande. Giulia
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