giovedì 22 settembre 2011

A CHI DOVREI CREDERE



È una domanda che mi tormenta da un paio di giorni: oggi più che mai. Oggi che riapro i giornali e rileggo a mente fredda; che rifletto su quello che la città dice e che si è lasciata dire – ma bisbigliando per e con disappunto. Quello di cui ancora parla e bisbiglia. Frastornata. Senza farlo vedere…
Mi interrogo su quale sia la funzione della stampa e dell’informazione: se i giornalisti debbano comunque raccontare e – se comunque raccontano – se abbiano il loro primo dovere nel dire la verità, senza nascondere niente, o nel modificare la realtà oggettiva, pur di raccontare per non tacere qualcosa che potrebbe essere lasciato in ombra o che sarebbe meglio tacere – per rispetto, per umana pietà, per pietà religiosa.
Al contrario, mentre mi tormento su questi temi che investono le ragioni profonde dell’essere – in fondo viviamo solo una ed un’unica volta –, vedo che purtroppo non si muovono nella stessa direzione certi che dell’informazione hanno fatto, grazie a scelte e a favori di altri, il loro mestiere, e che da essa traggono lo stipendio che permette loro di vivere per raccontare la storia quotidiana agli altri, ai lettori, alla gente della strada.
Così rileggo l’articolo 2 della legge 3 febbraio 1963, n. 69, istitutiva dell’ordine dei giornalisti:

2. Diritti e doveri
È diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà d’informazione e di critica, limitata dall’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede.
Devono essere rettificate le notizie che risultino inesatte, e riparati gli eventuali errori.
Giornalisti e editori sono tenuti a rispettare il segreto professionale sulla fonte delle notizie, quando ciò sia richiesto dal carattere fiduciario di esse, e a promuovere lo spirito di collaborazione tra colleghi, la cooperazione fra giornalisti e editori, e la fiducia tra la stampa e i lettori.

Gli occhi non si staccano da queste espressioni: rispetto della verità sostanziale dei fatti, lealtà e buona fede, fiducia tra la stampa e i lettori.
È più forte di me, più forte di ogni altra istanza di qualsiasi natura.
Il richiamo della verità è ciò che mi ha sempre guidato in qualsiasi momento, bello o brutto, facile o difficile, quando ho scritto e narrato la cronaca quotidiana.
Il mestiere del giornalista sta tutto lì. La professione sta tutta lì: in quella parola che molti alla fine odiano perché può essere scomoda. Estremamente scomoda.
Per me il suo richiamo è così forte che non saranno certo quelli che la disconoscono a farmi cambiare opinione – né a fare la storia, se non in senso negativo.
Negativo nell’ipocrisia del tacere lo splendore della sua luce, e del manipolare la sua inaffondabile e insoffocabile e inrinnegabile oggettività.
Gli altri potranno essere – come accade sempre – martiri e vittime. Anch’io lo sono stato, lo sono, lo sarò.

Ma lasciatemelo dire: chi se ne frega!
e.b. blogger
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[Giovedì 22 settembre 2011 – © Quarrata/news 2011]

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