L’Italia che non va, il Paese che non va.
Non va perché l’economia non è riuscita a riprendere e non tira. Non è riuscita a riprendere e non tira perché nessuno ha fatto niente perché ciò fosse possibile: a partire dai Comuni, dalle Province e dalle Regioni, che non hanno fatto altro che spendere, mentre piagnucolavano come bimbetti isterici perché il governo tagliava loro i fondi.
Una mentalità comunistica, quella di aspettare il panierino dal cielo, dal governo centrale, come manna. Una mentalità che ci sentiamo ripetere ogni volta nelle litanie dei Paesi dell’ex socialismo reale quando ci troviamo in visita per turismo o per lavoro.
Poi ci sono tutti gli altri enti e istituzioni che completano la serie: ministeri, sanità, servizi semipubblici e altro. Un infinito indistinto, ma inefficiente.
La Bce ci stanga. L’Europa ci ammazza. Lo ha fatto fino dall’inizio, quando Prodi ci fece fare quel benedetto salto nel buio con l’euro e il nuovo regime monetario in un mese o due.
Forse saremmo dovuti restare poveri: i paria d’Europa. Gli intoccabili.
E lavorare per i ricchi: gli altri che non ci sopportano – anche se fanno finta di volerci bene e di volerci aiutare, senza però fidarsi di noi. Francia, Germania.
Continuano a darci alle gambe. Con l’aiuto – è chiaro – anche di alcuni di noi: un aiuto allineato ai seri/seriosi principi economici (Draghi, che si appresta a guidare la Bce) o disallineato (i governi, tutti a seconda dei casi, chi in un modo chi in un altro). Ma nessuno ci vuole davvero bene.
Così ci troviamo, ogni anno, nel solito marasma; nella solita confusione di fatti e di idee. Balletti da ballerine da patetico ‘Circo di Bratislava’. Perché nessuno è chiaro fino in fondo. Né coraggioso nel dire in maniera cinica, ma reale più che realistica.
Sì: saremmo dovuti rimanere poveri, paria d’Europa e disposti a lavorare come somari per tirare avanti. Senza paura di essere additati: perché comunque, come vedete, ci additano e ci mettono sullo stesso piano della Grecia – dicendoci che non se ne parla neppure di concedere ad Atene (come a noi) di uscire dall’euro; di provare a riprendersi in altro modo.
È diventato un ricatto, se non lo è sempre stato.
Certo non è mai stato un vantaggio. L’unico vantaggio dell’euro è stato quello di poter andare in Germania senza scambiare denaro: ma è stata una vera conquista del terzo millennio?
Noi non ne siamo affatto convinti.
Abbiamo un Paese con un tasso di corruzione (lo hanno detto ieri sera all’Infedele) spaventoso. Ci superano forse solo i Paesi mafiosi dell’ex socialismo reale.
Abbiamo un deficit che, toccato e ritoccato dai governi, peggiora ogni giorno di più.
Abbiamo continue scalate della finanza selvaggia (e fermiamola, una volta per tutte!) alle nostre impoveritissime risorse. E nessuno fa niente. Nessuno.
E in tutto questo clima di assalto micidiale, si parla anche di licenziare senza tanti problemi, così: in deroga alle leggi nazionali. Si passa al blitz per abolire l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
No. Questo non è un Paese. È una striscia di Gaza senza pace e senza speranza, da cui andarsene. A gambe levate.
Ma con il capo chino per la vergogna di ciò che ci accade, di tutto quello che non va.
e.b. blogger
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[Martedì 6 settembre 2011 – © Quarrata/news, 2011]
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