di LUIGI SCARDIGLI
Non lascia il segno il riadattamento shakespeariano di
Gianfranco Pedullà
PISTOIA. Si sono dimenticati di spalancare le finestre del teatro
Manzoni, due settimane fa. Nello stabile di Corso Gramsci, a Pistoia, ieri
sera, circolava ancora, intenso, l’odore acre di Filippo Timi e del suo
devastato Don Giovanni, e Giusi
Merli, una discutibilissima Re Lear,
non ha saputo sopraffarlo.
Ma anche senza un precedente così
scomodo e ingombrante come quello imposto dall’incontenibile folletto umbro, questo Re Lear somiglia maledettamente a tutte
le decine di migliaia di rappresentazioni che lo hanno preceduto, senza una
vena di follia, né una brusca deviazione dal seminato. Sì, certo, il
sottotitolo, il passaggio delle generazioni
e un epilogo cruento e incestuoso,
qualcosa hanno provato ad aggiungerlo al molosso intellettuale inglese, ma il
tentativo è apparso sterile, goffo e soprattutto terribilmente strutturato, una
precisione ritmica e scenografica di cui, gli amanti del teatro, che non sono
gli abbonati, non ne sentono alcuna mancanza, se omessa, dimenticata, cancellata.
Perché è oggettivamente inutile,
rischioso e dispendioso oltre ogni ragionevole sforzo mettersi all’anima di
rivisitare un mostro sacro come Shakespeare, a patto che non ci si metta in
testa di provare e scarnificarlo, rovesciarlo, invertirne i poli, i fattori,
con il risultato, più teatrale che matematico e fisico, che tutto torni al suo
posto, senza che nessuno si permetta di invertirne la rotta: il punto di
partenza e di arrivo, per rispetto e verità, non possono cambiare; occorre
invece usare altri mezzi di comunicazione, perché è la comunicazione ad essere
cambiata e anche in modo innaturale, violento e a velocità supersonica.
Indietro, insomma, tanto a teatro come
altrove, non credo che ci venga data l’opportunità di tornare: si può
ripristinare il baratto per combattere un’economia spudoratamente profit;
si possono lasciare le macchine nei garage e servirsi delle biciclette per
ridurre i gas di scarico e risparmiare, ma non si può tenere in vita, con gli
stessi presupposti con i quali è nata, un’opera maledettamente datata. L’universalità
del Re Lear non ha bisogno alcuno di
altri timbri, ulteriori vidimazioni: c’è e lì resterà nel tempo, nella vanità
dell’onnipotenza, nella perfidia dell’opportunismo, nell’ironia della sorte che
regola, nonostante tutto, le umane vicende.
Gianfranco Pedullà, inoltre, che vanta
il merito, non certo comune, di dirigere un laboratorio artistico all’interno
della Casa Circondariale di Pistoia, ha tutte le carte, per nulla in regola,
per passare una mano di vernice su un’opera intoccabile, fingendo di averla
decomposta e rovinata per sempre, per poi tranquillizzare tutti con la formula
degli incantatori, un voilà che
farebbe tirare un respiro di sollievo ai vecchi adulatori e regalerebbe un
robusto sorriso ai nuovi spettatori.
Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
Foto di Luigi Scardigli.
[Sabato 7 dicembre 2013 | 10:45 - © Quarrata/news]
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