di Luigi Scardigli
È forse
più bella ora di quanto il mondo le scodinzolava dietro. Oh certo, Mariangela D’Abbraccio,
la sua figurona, la fa ancora, alla soglia dei cinquantanni, anche nel camerino
di un teatro, il Manzoni di Pistoia, nella fattispecie, prima di andare in
scena, in prima regionale, con La
lampadina galleggiante (replica domani sera e domenica pomeriggio) con un
maglione di lana scuro che la fascia il collo e un paio di pantaloni larghi che
soprassiedono le forme procaci.
«Dipenderà
dal fatto che non ho il senso del tempo – risponde l’attrice napoletana, intenta
a pulire gli occhi a Camille, che l’ha seguita in tournée con Teresina e
Titina, tre dei suoi 11 cani – e che accetto, sistematicamente, le sfide,
soprattutto quelle professionali. Ma poi sto meglio ora di quando avevo venti
anni, lo ammetto: ero sempre piena di acciacchi e di paure, ansie da mille
prestazioni. Sono diventata una donna matura e consapevole, che è riuscita a
metabolizzare vita pubblica e professionale con quella privata. Sono una donna
felice: certo, soprattutto fortunata, vero, ma felice».
Già, un’attrice classica come te, da De Filippo
a Pirandello, attraverso percorsi sicuri e rodati, che si cimenta in Woody
Allen sostituendo tra l’altro proprio all’ultimo tuffo Giuliana De Sio, attorno
alla quale era stato costruito il personaggio, non è da poco!
«Si, è
vero. Pensa che questa storia è davvero on
the road: ho incontrato il regista per strada che mi ha investito con
questa avventura. Ho letto il copione e ho pensato che fosse una cosa che avrei
potuto fare. Con le repliche, naturalmente, oltre ad entrare sempre più nei
panni della protagonista, ho anche inevitabilmente personalizzato l’ambiente. Ma
c’è una grande sintonia con tutto lo staff, è stato un piacevole contrattempo».
Sei figlia e nipote d’arte, tuo madre è un
regista, i tuoi amici fanno solo e soltanto spettacoli: una predestinata; non
avresti potuto fare null’altro.
«Quasi
inevitabile, il mio cammino. Sono cresciuta respirando l’aria del palcoscenico:
il nonno violinista al San Carlo di Napoli, la nonna, attrice, la mamma
regista, insomma; sono stata piacevolmente perseguitata dalle scene e ho finito
per innamorarmene. Però non ho aspettato le compagnie che venissero a suonarmi
il campanello di casa: ho studiato e lavorato molto e ho raccolto tanti buoni e
bei frutti».
Anche tua sorella Milly si è lasciata
coinvolgere dalle luci della ribalta, scegliendo però una strada decisamente
diversa dalla tua, per alcuni versi meno rischiosa, ma forse meno appagante.
«Gliel’ho
detto mille volte, a mia sorella, talento vero, credimi – balla, canta e recita
divinamente – di mollare l’ambiente del porno per mettersi a fare altre cose
che le sarebbero riuscite e le riuscirebbero tuttora meravigliosamente, ma lei
ha sempre preferito trasgredire le regole, viaggiando controvento: a me,
invece, le regole, piace provare a cambiarle da dentro, ma rispettandole
profondamente».
Non sei un’abitudinaria, vero?
«Non lo
sono, stanne certo, anche sul palcoscenico: adoro i debutti, riuscire a dare
una mano di vernice su una parete che in mille hanno già perfettamente adornato
ma sulla quale, pensandoci bene, una margherita dipinta in un angolo in alto a
sinistra non guasterebbe affatto. Anzi».
E dopo?
«Non lo
so, ma non è un atteggiamento, non lo so davvero. E potrai anche non crederci,
ma non mi interessa».
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[Venerdì 10 febbraio 2012 – © Quarrata/news 2011]
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