mercoledì 27 giugno 2012

VINICIO GAI. CI SEDEVAMO ACCANTO…


SAN PIERO A PONTI-QUARRATA. Sì. Purtroppo il tempo è passato. E ne è passato anche troppo.
Ma stasera, anche se sono più stanco del solito, non posso fare a meno di continuare a scrivere qualcosa. Specie dopo che ho letto, con dispiacere, sul blog di Andrea Balli, che Vinicio Gai è scomparso.
Erano, per me, i tempi dell’università. Che avevo cominciato a frequentare proprio l’anno dell’alluvione. Cominciammo l’anno accademico il giorno dopo Befana, causa la melma che aveva inondato tutto.

L’inverno era freddo, l’estate fu fin troppo calda.
Vinicio saliva a San Piero a Ponti, ma non poteva sedersi accanto a me, perché, verso Firenze, io prendevo posto a Quarrata accanto a Alvaro Vestrucci, che lavorava alla segreteria di Piazza Cavour; o a Dino – di cui non rammento il cognome.
Quando invece tornavo – la linea Copit partiva da piazza Santa Maria Novella – allora ero solo e Vinicio veniva spesso a sedere accanto a me, o io andavo accanto a lui.
Gran parlatore. Grande studioso. Infinitamente cavilloso nella sua – a volte difficile da capire – pretesa di perfezione formale. Un’ossessione per lui.
Quante volte mi ha detto che non esisteva libro senza almeno un errore!
Devo dire che allora, da giovane (19 anni non erano tanti) non ci ho creduto. Lo faccio oggi dopo aver pubblicato i miei libri i quali, in onore di Vinicio, sono segnati, qua e là, di errori. Anche più di uno.
Parlavamo sempre di arte e di lettere, di scrittura e di poesia.
E siccome al suo Conservatorio insegnava Carlo Betocchi, il poeta, ebbi l’onore di essergli presentato da Vinicio. E ebbi anche l’onore di una risposta indiretta sui miei scritti: una risposta in cui il poeta – come ho scritto tanti anni fa in rivista, precisamente su Erba d’Arno – sbagliò. La lingua è ingannatrice e se anche i ricchi piangono, pure i poeti sbagliano. Ma Betocchi era e resta, comunque, un acquisto dovuto a Vinicio. Un acquisto perfino divertente, dopo essere stato scioccante, lì per lì.
Vinicio circa un anno fa mi chiamò a telefono non ricordo più per cosa chiedermi: perché anch’io sto diventando anziano e, più che una volta, scordo perfino le cose più evidenti.
Di Vinicio voglio avere questi ricordi. Di quando io ero giovane e lui appena maturo.
È più bello così. Si resta più vivi.
Quella, del resto, era una Firenze non di Renzi, afflitta da tutti i mali, ma post-alluvionata e in piena rinascita e ricrescita. Anche se subito dopo arrivò il 68 e – lasciatemelo dire – tra un don Milani interpretato male e un comunismo alla riscossa populista, l’università iniziò quel suo percorso che si è concluso, ingloriosamente, con la riforma Berlinguer, i crediti e tanti Brunelli laureati.
Allora ridevamo. Rideva anche Vinicio. Che con l’ultima telefonata mi parlò anche del mio primo libro: uno studio sui barbarismi nell’italiano. Una raccolta di parole e di curiosità.
La lingua lo attraeva molto ed era soddisfatto di quel mio lavoro, che – mi disse – riguardava e consultava più volte.
Peccato che Vinicio non abbia fatto in tempo a vedere il resto dei miei lavori. Forse più contestabile, ma certo più vario e più sodo.
Io, stasera, lo ricordo così. Chiacchierino e sorridente. Perfezionista.
Quando io ero giovane e lui appena maturo…
Edoardo Bianchini
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[Mercoledì 27 giugno 2012 - © Quarrata/news 2012]

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