di LUIGI SCARDIGLI
Il
primo passo poetico di Walter Tripi – Uno scandaglio degli abissi delle
profondità umane
PISTOIA. Quanti anni ha Walter
Tripi? Non lo so. Probabilmente è solo un bambino che si atteggia a voler
sembrare grande, un uomo; o è semplicemente un uomo che vorrebbe tornar bambino
in modo tale da correggere, prima che non sia tardi, già, ma cosa?
La poesia
è sicuramente una delle medicine meno efficaci che ci siano in circolazione;
primo perché è difficilissimo prescriverla, se non impossibile, ma soprattutto,
dunque non secondo, perché invece che guarire, sovente, peggiora la situazione,
trasformando così un semplice e forse passeggero malessere in una forma cronica
di dolore, come se si trattasse di un’Apnea.
Già, Apnea.
È questo il titolo della raccolta di poesie che Water Tripi ha pubblicato, sul
finire dell’anno da poco terminato, con la Fondazione Mario Luzi nella collana
diretta da Mattia Leombruno, che si è cimentato nella disamina della
prefazione.
Sono 47 le
poesie raccolte nel volume ed è scontato sostenere come il poeta non sia
lontanamente superstizioso; o lo sia a tal punto da volerla sfidare, la sorte,
che vuole quel numero accostato alla morte
che parla.
Dice l’autore
che le poesie sono il frutto di un’immersione, senza bombole, ovviamente,
iniziata sul finire del 2010 e terminata all’inizio dell’anno successivo. Un
disperato tentativo di training autogeno che non ha dato assolutamente i frutti
sperati, visto e considerato che le poesie son diventate raccolta e la
raccolta, poi, ha conosciuto la vita editoriale.
Perché la
poesia non può che far male, soprattutto quando appartiene a quella sagra delle
sostenibili pesantezze del sembrare, dove quando si finisce, si è propensi,
quasi chimicamente, ad andare spasmodicamente avanti verso un orizzonte
irraggiungibile o fermarsi impietriti e disfarsi di ciò che ci ha solleticato l’angoscia.
Immagina Nubi tutto intorno Immergersi Essere
dimenticati Dimenticare Essere dimenticati Essere ancora Non dimenticare Trattieni
il respiro Trattieni la nebbia Respira la nebbia E poi il respiro, lento Non
vedere ancora, ma respirando scegliere le nubi da indossare per sempre
Indovinare e sorridere. Sotto questi titoli, dietro questi suggerimenti o nascosti
da questi inguaribili traumi, si sviluppano le prose di Walter Tripi, un neo
ermetico, della scuola luziana, che gioca con le parole, sulle parole e sulle
sue sincopi, una morte e resurrezione costanti, non decifrabili scorgendo un
elettrocardiogramma, ma avvertibili nella loro più insensata immagine,
lasciandosi coprire dalla disperazione di chi chiede alla poesia di lasciarsi
morire tra i tormenti.
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[Lunedì 7 gennaio 2013 - © Quarrata/news 2013]
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