di LUIGI SCARDIGLI
«Cambiano le donne. Sono l’unica cosa
che non si può prevedere: tutto il resto è già scritto, un copione che sappiamo
tutti bene a mente»
MONSUMMANO. Così era, quando l’ho conosciuto, una vita fa, e così è
rimasto. Ma soprattutto, così resterà.
Perché tanta sicurezza circa l’imperturbabilità di Carlo
Monni? Perché Carlo Monni, ieri sera all’Yves Montand di Monsummano Terme a
presentare La beffa del grasso
legniauiolo, non potrà mai cambiare, se non il giorno della morte e, in
virtù della metempsicosi, di cui sfoggerà le proprietà – ne sono certo –, riproducendosi in un altro Carlo Monni.
«Cambiano le donne – ha detto l’immarcescibile poeta di vacca di Firenze –. Sono l’unica
cosa che non si può prevedere: tutto il resto è già scritto, un copione che
sappiamo tutti bene a mente».
Non è freddissimo, stasera (ieri – ndr), ma sopra un paio di sandali aperti, al posto
dell’incontrollabile battitore libero della satira blasfema fiorentina, i
calzini, io, ce l’avrei messi.
«No quella malattia a cui fate cenno – inizia a volare dove
meglio crede, Monni – non c’entra nulla, ma
mi fa fatìa, mettimi i carzini e allora vengo scarzo».
Il teatro, però, è una cosa seria e nonostante il protagonista
della notte teatrale monsummanese, senza ironia non si sia mai considerato, del
palcoscenico e di chi ci sale sopra continua ad averne un altissimo profilo.
«È tutto finto – sentenzia Monni, il vero padre Geppetto che
sia mai esistito – e poi, il teatro, forse, è una cosa destinata a non morire
mai, anzi, ne sono sicuro, se non quando morirà l’ultimo essere sulla faccia
della terra; quel giorno finirà il teatro, ma solo perché non ci sarà più
nessuno a rappresentarlo».
Arriva Elisabetta Salvatori, in quel preciso istante; con
Monni, la rinomata attrice-cantastorie-affabulatrice è in procinto di mandare
in scena una rappresentazione teatrale sulla strage della stazione ferroviaria
di Viareggio.
«Si va a mangiare a Lucca dopo, vieni con noi? Prima di
mezzanotte s’è finito, s’ha il tempo di arrivare e di fare una bella mangiata».
«Pensa che questo La beffa del grasso legnaiolo, in
verità, era molto più lungo, nella sua versione originale, che io mi sono
potuto fregiare di interpretare interamente; ma abbiamo dovuto ridurre i tempi
complessivi di esposizione perché ci avrebbero accusati di lentezza: è un
controsenso; la gente viene al teatro, ma si sente a casa, in poltrona, come se
fosse davanti alla televisione e in più, come se avesse tra le mani il
telecomando e potesse, al cospetto della prima incomprensione, o alla prima lentezza, cambiare scena, attori,
immagini. Canale…».
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Foto di Luigi Scardigli.
[Domenica 6 gennaio 2013 – © Quarrata/news 2013]
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