martedì 1 gennaio 2013

SE IL NATALE, ALL’IMPROVVISO, SI TINGE DI ROSSO



L’omelia di mons. Mansueto Bianchi, vescovo di Pistoia ai funerali di don Mario Del Becaro a Catena di Quarrata

Cari fratelli nel sacerdozio, carissime sorelle e fratelli laici, soprattutto voi, abitanti della parrocchia di Tizzana-Catena. Ci raccogliamo in questo giorno, ultimo dell’anno 2012, attorno ad una persona, ad una vita che è stata tragicamente spenta.
Mentre ancora viviamo, nella Liturgia, l’ottava del Natale, il prolungarsi e l’effondersi del dono e del messaggio del Natale nella vita della chiesa e del mondo, esso al’improvviso si tinge di rosso.
Dal Natale bianco al natale rosso: è l’esperienza traumatica che ha vissuto questa parrocchia e, con essa, la diocesi di Pistoia.

Difficile ancora e prematuro trovare una chiave di lettura oggettivamente affidabile che spieghi in modo adeguato ciò che è accaduto tra noi: questo del resto è il compito che spetta all’autorità investigativa e che noi attendiamo, con grande fiducia e rispetto.
Ci accostiamo dunque a questa vicenda con grande sobrietà, come si conviene al dolore, guidati solo dalla parola di Dio e dalla luce della Fede, ben sapendo che quella è la chiave risolutiva di lettura e che toni celebrativi ed esaltatori avrebbero incontrato il rifiuto dello stesso don Mario.
Ci resta, nelle mani e nel cuore, la vita di un uomo, di un prete, che è stata violentemente spenta, ci rimane il tracciato di un’esistenza, fatta di luci e di ombre, di canto e di gemito, come quella di ciascuno di noi; essa oggi sta dinanzi a Dio chiedendo la sua misericordia; è l’approdo di ogni vita, è il porto e l’esaudimento di ogni ricerca e di ogni attesa. Essa, la vita di don Mario, oggi sta anche dinanzi a noi e chiede di diventare memoria. Una memoria che ammonisce e interroga.
Credo che la vicenda di don Mario evidenzi anzitutto il bisogno che abbiamo noi preti di essere fortemente radicati nella persona del Signore Gesù e del suo Vangelo: vera motivazione della nostra vita, fino al punto di diventare passione che accende le nostre giornate, ci dà la convinzione di spenderci anche faticosamente per qualcosa che vale, e ci salva dal fascino dei ripiegamenti e dei surrogati.
Ma la vicenda di don Mario evidenzia anche la necessità, per noi preti, di radicarci nella vita del nostro popolo, della comunità cristiana, della chiesa. Abbiamo bisogno di diventare casa, di diventare famiglia l’uno per l’altro nel presbiterio, a cominciare da me, vescovo. Abbiamo bisogno che il nostro presbiterio cresca nella fraternità e nell’intensità, umana e spirituale, delle relazioni, in modo da facilitare la reciproca confidenza, la comprensione, l’incoraggiamento, l’aiuto fraterno. 
È questo clima, umanamente e spiritualmente intenso, che aiuta a prevenire o ad evolvere positivamente le crisi di stanchezza, di delusione, di solitudine, di demotivazione che inevitabilmente si affacciano nella vita di un prete, come nella vita di ogni persona.
Ma essere radicati nella chiesa vuol dire, per la comunità cristiana, per la parrocchia, restare vicina alla vita ed alla persona del proprio sacerdote: non fargli mancare l’affetto, la stima, la collaborazione, l’accoglienza. È questo clima positivo di relazione, che permette anche la correzione di errori e difetti, il suggerimento, il consiglio e la critica, senza che questo diventi un crocifiggere la persona al proprio limite o al proprio errore.
Molte cose si sono dette e scritte su don Mario in questi giorni, altre ancora se ne diranno e se ne scriveranno. In questo chiudersi dell’anno e della sua vita, ci rimane questa sua estrema presenza tra noi, con il suo povero corpo martoriato, qui, in questa chiesa di Catena che lui ha rinnovato, ampliato e restaurato, quasi come simbolo visibile, segnato nella pietra, del servizio pastorale e dell’opera spirituale che egli ha compiuto in mezzo a voi in questi 26 anni.
Ci rimane l’orrore e lo sdegno verso chi ha compiuto questo delitto feroce, senza pietà e senza umanità. Eppure nella luce del Vangelo e del pane consacrato che tra poco spezzeremo, è anche per queste persone che noi intendiamo pregare, perché sappiano che nel cuore di ogni vita devastata rimane sempre un povero giardino, di progetti, di positivi desideri, di rimpianti; nell’aridità di ogni deserto c’è una breve oasi a partire dalla quale è possibile il recupero di una persona, il ritorno alla dignità di una vita. Così speriamo e preghiamo che sia per gli uccisori di don Mario, attraverso la giusta pena che hanno meritato.
E infine preghiamo per don Mario, ora che la sua vita sta dinanzi al tribunale di Dio, perché possa incontrare non l’occhio severo del giudice, ma il volto buono del Padre che asciuga ogni lacrima, sana ogni ferita, perdona ogni colpa per chi torna a Lui nel gesto del pentimento e dell’umiltà.
Poiché questa è l’ultima verità della vita: l’abbraccio rasserenante del perdono, per il cammino ormai concluso di don Mario e per la nostra strada che ancora continua quaggiù.
Mansueto Bianchi
Vescovo di Pistoia
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[Martedì 1° gennaio 2013 - © Quarrata/news 2013]

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