domenica 13 gennaio 2013

I FUNERALI DI DON FERRERO. “COME LA SPIAGGIA DEL MARE”, L’OMELIA DEL VESCOVO

Don Ferrero Battani

di Mansueto Bianchi [*]

VALDIBURE. C’è una frase biblica che mi è frequentemente affiorata alla mente in questi giorni, pensando alla figura serena e fraterna di don Ferrero. Dice così: “ Il Signore gli donò un cuore grande, come la spiaggia del mare” (I Re 5,9 vulgata).
Credo che questo sia il codice d’accesso, la chiave, per aprire la porta, per entrare in questa vita e per capirla secondo quel messaggio e quella bellezza che ha espresso tra noi, e che stamani ci affida.
“Un cuore grande come la spiaggia del mare”.
Sorelle e fratelli miei “un cuore grande” non è quello che si guarda nello specchio, non è quello che si ripiega su se stesso, o cerca gli altri a partire dalla vicinanza e dalle sintonie con sé; un cuore grande si protende dal recinto, si butta oltre lo steccato; non guarda la punta delle scarpe, ma gli occhi ed il cuore delle altre persone, di tutti gli altri, fino alla linea dell’ orizzonte.

“Un cuore grande come la spiaggia del mare” è semplicemente questo: un cuore innamorato ! E proprio perché innamorato assomiglia, più di ogni altro, al cuore di Dio.
Don Ferrero era un uomo, un prete, che sapeva amare. Con semplicità, con solidità, con apertura a tutti.
Ed allora io mi chiedo: di chi era innamorato don Ferrero ? Quali sono state le passioni, le grandi passioni, che hanno acceso la sua vita e con le quali egli ha cercato di accendere la vita degli altri ?
La prima passione si chiama Gesù Cristo. E non rispondo così per convenienza o per galateo religioso, ma perché di questo filo era intessuta la robusta tela della sua vita. Don Ferrero non era certamente un prete devozionale, ma era un prete “de-voto” nel significato letterale della parola: un prete, cioè, che si dà tutto, che si dà interamente, quasi riversa la sua vita nella vita di un altro, nella vita e nella persona del Signore Gesù.
Parlare di don Ferrero sottacendo questo aspetto o questa relazione con il “Tu” di Dio, questa passione per la persona di Gesù, sarebbe non aver compreso nulla di lui. Essa lo ha acceso fin dagli anni dell’ infanzia nella sua Gavinana, gli ha fatto dire a 7 anni: voglio farmi prete ! e ad 11 anni lo ha fatto uscire dalla sua famiglia e dalla sua parrocchia per entrare in Seminario a Pistoia.
Al termine della sua vita scriveva: “ Non ho avuto la fortuna di sentire Dio che parla, come è successo a S. Paolo, o di avere la stimmate come è successo a S. Francesco, ma ho avuto comunque la fortuna di seguire una strada che sentivo mia, con convinzione ed entusiasmo, e che mi ha riempito….di gioia per tutta la vita” (Frammenti d’Infinito, 17).
Parlare di don Ferrero senza partire dal Signore vuol dire rimanere in periferia, cogliere forse l’originalità del personaggio ma non la radice della sua identità. Ed è questa sua passione per il Signore che lo portava a riconoscerne le orme, i segni del passaggio e della presenza nella vita degli altri.
Don Ferrero aveva l’occhio fine, l’occhio del cuore, quello che sa vedere più a fondo e più lontano, ed era capace di intravvedere la presenza e l’azione di Dio in ogni vita, anche in quelle velate dalla negazione, dallo sgomento, da una apparente indifferenza.
La seconda passione che ha acceso la vita di don Ferrero è stata quella per la gente: dico semplicemente così “la gente”, non il popolo o la comunità. La gente, cioè tutti ed ognuno così come sono. Mille percorsi di vita si sono intrecciati con il suo, mille volti lo hanno guardato, e per ciascuno egli ha avuto una parola, semplice, chiara, di quelle che lasciano il segno, o forse solo un sorriso di accoglienza, di riconoscimento che ti faceva sentire a casa.
Passione per la gente vuol dire Valdibure, Santomoro, vuol dire i ragazzi del Liceo Scientifico, delle Mantellate, gli Scouts, gli antichi parrocchiani di Lamporecchio. La gente per don Ferrero erano i poveri, vicini e lontani, con i quali viveva una sintonia profonda, legata alle sue origini, alla sua giovinezza, allo stile di sobrietà ed accoglienza cui aveva improntato la vita.
Passione per la gente vuol dire quei nomi pronunciati con naturalezza quando ti dava la Comunione, quando narrava i ricordi di decina e decine di anni fa, quando ti apriva la porta e ti guardava in faccia.
Da quando l’ho conosciuto ho sempre pensato che nel giorno dell’ addio Pistoia sarebbe salita a Val di Bure, la città gli sarebbe sfilata dinanzi: ed è quello che abbiamo veduto in questi giorni, quello che costatiamo stamani.
Don Ferrero ha conquistato il cuore di una città perché la gente è stata la sua famiglia, la sua casa, e lui casa per la gente.
Una terza passione ha acceso il cuore di don Ferrero: quella per la vita. Anche qui occorre dire semplicemente così: la vita.
Questa passione per don Ferrero voleva dire il calcio, la montagna, il deserto, la motocicletta, la convivialità. Passione per la vita era il passare delle stagioni, il lavorare nei campi, le piccole cose di ogni giorno così cariche di significato e di valore per lui.
Passione per la vita voleva dire tuffarsi tra i giovani, riprendere con loro, generazione dopo generazione, la grande sfida dell’ esistenza e non per un patetico giovanilismo, ma come una che ha saggezza e forza perché ha già percorso e conosce la strada. Passione per la vita erano anche i suoi viaggi, siano alla periferia del pianeta, per conoscere, capire, confrontare, leggere nelle singole pagine il grande e convergente libro della vicenda umana.
Infine un’ultima passione vorrei richiamare, che ha acceso il cuore innamorato di Ferrero: la passione per la Chiesa.
Don Ferrero voleva essere prete di una Chiesa che fosse soprattutto accogliente, comprensiva delle persone, smisurata nella misericordia. Questo lo portava talora a comportamenti e scelte pastorali legate alla sua oggettiva sensibilità. Ma nel fondo terso del suo cuore era leggibilissima l’intenzione che la Chiesa fosse sentita vicina alla gente, amica della vita: Chiesa che traducesse il “sì” di Dio al desiderio di felicità, pulsante nella profondità di ogni persona.
Del suo amore alla Chiesa rimane il segno visibile nell’ edificio di Santomoro e soprattutto in questa splendida Pieve di Valdibure. Ecco come egli ne descrive il primo incontro: “Quando il Vescovo mi incaricò di venire a Valdibure, io non sapevo nemmeno dov’era. Erano i primi di Settembre del 1957 e, un giorno in cui la mia mamma era libera dal lavoro, con il mio Galletto Guzzi cercammo di raggiungere la Chiesa, ma non ci si riuscì. Dovetti lasciare la motocicletta presso una casa di contadini a Caloría e proseguimmo a piedi per una mulattiera erta e sassosa. Mi apparve all’improvviso vetusta, severa e maestosa tra i cipressi e le querce secolari, e mi pervase un misto di soggezione, stupore ed emozione che me la rese affascinante… Dopo più di cinquant’anni sono qui a parlarne come un innamorato parla della sua innamorata” (ibidem, 89-90).
A questa Chiesa, che era insieme la pieve, la comunità cristiana, e il sogno di Dio, egli fu appassionato e fece appassionare la sua gente, i suoi parrocchiani. Ogni volta che sono stato a Santomoro od a Valdibure ho sempre incontrato persone e comunità che sentono propria la Chiesa, e la vivono come una naturale espressione di sé e del proprio mondo.
Don Ferrero siamo all’ora dell’ addio, anzi del Cristiano arrivederci. Tu eri solito dire che in ogni persona c’è un frammento d’infinito, come una scheggia di cielo che Dio ha posto dentro ciascuno di noi.
Questo frammento d’infinito noi lo abbiamo visto affiorare sul tuo volto pacato, nel tuo sorriso fraterno, nella evangelica semplicità della tua vita.
Oggi vorremmo scritto sulla tua tomba quello che ciascuno di noi ha già scritto nell’ anima per te: “il Signore gli donò un cuore grande, come la spiaggia del mare”.

[*] – Vescovo di Pistoia

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[Domenica 13 gennaio 2013 | 18:22 - © Quarrata/news]

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