Don Ferrero Battani |
di Mansueto Bianchi [*]
VALDIBURE. C’è una frase biblica che mi è frequentemente affiorata
alla mente in questi giorni, pensando alla figura serena e fraterna di don
Ferrero. Dice così: “ Il Signore gli donò un cuore grande, come la spiaggia del
mare” (I Re 5,9 vulgata).
Credo che questo sia il codice d’accesso,
la chiave, per aprire la porta, per entrare in questa vita e per capirla
secondo quel messaggio e quella bellezza che ha espresso tra noi, e che stamani
ci affida.
“Un cuore grande come la spiaggia del
mare”.
Sorelle e fratelli miei “un cuore
grande” non è quello che si guarda nello specchio, non è quello che si ripiega
su se stesso, o cerca gli altri a partire dalla vicinanza e dalle sintonie con
sé; un cuore grande si protende dal recinto, si butta oltre lo steccato; non
guarda la punta delle scarpe, ma gli occhi ed il cuore delle altre persone, di
tutti gli altri, fino alla linea dell’ orizzonte.
“Un cuore grande come la spiaggia del
mare” è semplicemente questo: un cuore innamorato ! E proprio perché innamorato
assomiglia, più di ogni altro, al cuore di Dio.
Don Ferrero era un uomo, un prete, che
sapeva amare. Con semplicità, con solidità, con apertura a tutti.
Ed allora io mi chiedo: di chi era
innamorato don Ferrero ? Quali sono state le passioni, le grandi passioni, che
hanno acceso la sua vita e con le quali egli ha cercato di accendere la vita
degli altri ?
La prima passione si chiama Gesù
Cristo. E non rispondo così per convenienza o per galateo religioso, ma perché
di questo filo era intessuta la robusta tela della sua vita. Don Ferrero non
era certamente un prete devozionale, ma era un prete “de-voto” nel significato
letterale della parola: un prete, cioè, che si dà tutto, che si dà interamente,
quasi riversa la sua vita nella vita di un altro, nella vita e nella persona
del Signore Gesù.
Parlare di don Ferrero sottacendo
questo aspetto o questa relazione con il “Tu” di Dio, questa passione per la
persona di Gesù, sarebbe non aver compreso nulla di lui. Essa lo ha acceso fin
dagli anni dell’ infanzia nella sua Gavinana, gli ha fatto dire a 7 anni:
voglio farmi prete ! e ad 11 anni lo ha fatto uscire dalla sua famiglia e dalla
sua parrocchia per entrare in Seminario a Pistoia.
Al termine della sua vita scriveva: “
Non ho avuto la fortuna di sentire Dio che parla, come è successo a S. Paolo, o
di avere la stimmate come è successo a S. Francesco, ma ho avuto comunque la
fortuna di seguire una strada che sentivo mia, con convinzione ed entusiasmo, e
che mi ha riempito….di gioia per tutta la vita” (Frammenti d’Infinito, 17).
Parlare di don Ferrero senza partire
dal Signore vuol dire rimanere in periferia, cogliere forse l’originalità del
personaggio ma non la radice della sua identità. Ed è questa sua passione per
il Signore che lo portava a riconoscerne le orme, i segni del passaggio e della
presenza nella vita degli altri.
Don Ferrero aveva l’occhio fine, l’occhio
del cuore, quello che sa vedere più a fondo e più lontano, ed era capace di
intravvedere la presenza e l’azione di Dio in ogni vita, anche in quelle velate
dalla negazione, dallo sgomento, da una apparente indifferenza.
La seconda passione che ha acceso la
vita di don Ferrero è stata quella per la gente: dico semplicemente così “la
gente”, non il popolo o la comunità. La gente, cioè tutti ed ognuno così come
sono. Mille percorsi di vita si sono intrecciati con il suo, mille volti lo
hanno guardato, e per ciascuno egli ha avuto una parola, semplice, chiara, di
quelle che lasciano il segno, o forse solo un sorriso di accoglienza, di
riconoscimento che ti faceva sentire a casa.
Passione per la gente vuol dire
Valdibure, Santomoro, vuol dire i ragazzi del Liceo Scientifico, delle
Mantellate, gli Scouts, gli antichi parrocchiani di Lamporecchio. La gente per
don Ferrero erano i poveri, vicini e lontani, con i quali viveva una sintonia
profonda, legata alle sue origini, alla sua giovinezza, allo stile di sobrietà
ed accoglienza cui aveva improntato la vita.
Passione per la gente vuol dire quei
nomi pronunciati con naturalezza quando ti dava la Comunione, quando narrava i
ricordi di decina e decine di anni fa, quando ti apriva la porta e ti guardava
in faccia.
Da quando l’ho conosciuto ho sempre
pensato che nel giorno dell’ addio Pistoia sarebbe salita a Val di Bure, la
città gli sarebbe sfilata dinanzi: ed è quello che abbiamo veduto in questi
giorni, quello che costatiamo stamani.
Don Ferrero ha conquistato il cuore di
una città perché la gente è stata la sua famiglia, la sua casa, e lui casa per
la gente.
Una terza passione ha acceso il cuore
di don Ferrero: quella per la vita. Anche qui occorre dire semplicemente così:
la vita.
Questa passione per don Ferrero voleva
dire il calcio, la montagna, il deserto, la motocicletta, la convivialità.
Passione per la vita era il passare delle stagioni, il lavorare nei campi, le
piccole cose di ogni giorno così cariche di significato e di valore per lui.
Passione per la vita voleva dire
tuffarsi tra i giovani, riprendere con loro, generazione dopo generazione, la
grande sfida dell’ esistenza e non per un patetico giovanilismo, ma come una
che ha saggezza e forza perché ha già percorso e conosce la strada. Passione
per la vita erano anche i suoi viaggi, siano alla periferia del pianeta, per
conoscere, capire, confrontare, leggere nelle singole pagine il grande e
convergente libro della vicenda umana.
Infine un’ultima passione vorrei
richiamare, che ha acceso il cuore innamorato di Ferrero: la passione per la
Chiesa.
Don Ferrero voleva essere prete di una
Chiesa che fosse soprattutto accogliente, comprensiva delle persone, smisurata
nella misericordia. Questo lo portava talora a comportamenti e scelte pastorali
legate alla sua oggettiva sensibilità. Ma nel fondo terso del suo cuore era
leggibilissima l’intenzione che la Chiesa fosse sentita vicina alla gente,
amica della vita: Chiesa che traducesse il “sì” di Dio al desiderio di
felicità, pulsante nella profondità di ogni persona.
Del suo amore alla Chiesa rimane il
segno visibile nell’ edificio di Santomoro e soprattutto in questa splendida
Pieve di Valdibure. Ecco come egli ne descrive il primo incontro: “Quando il
Vescovo mi incaricò di venire a Valdibure, io non sapevo nemmeno dov’era. Erano
i primi di Settembre del 1957 e, un giorno in cui la mia mamma era libera dal
lavoro, con il mio Galletto Guzzi cercammo di raggiungere la Chiesa, ma non ci
si riuscì. Dovetti lasciare la motocicletta presso una casa di contadini a
Caloría e proseguimmo a piedi per una mulattiera erta e sassosa. Mi apparve all’improvviso
vetusta, severa e maestosa tra i cipressi e le querce secolari, e mi pervase un
misto di soggezione, stupore ed emozione che me la rese affascinante… Dopo più
di cinquant’anni sono qui a parlarne come un innamorato parla della sua
innamorata” (ibidem, 89-90).
A questa Chiesa, che era insieme la
pieve, la comunità cristiana, e il sogno di Dio, egli fu appassionato e fece
appassionare la sua gente, i suoi parrocchiani. Ogni volta che sono stato a
Santomoro od a Valdibure ho sempre incontrato persone e comunità che sentono propria
la Chiesa, e la vivono come una naturale espressione di sé e del proprio mondo.
Don Ferrero siamo all’ora dell’ addio,
anzi del Cristiano arrivederci. Tu eri solito dire che in ogni persona c’è un
frammento d’infinito, come una scheggia di cielo che Dio ha posto dentro
ciascuno di noi.
Questo frammento d’infinito noi lo
abbiamo visto affiorare sul tuo volto pacato, nel tuo sorriso fraterno, nella
evangelica semplicità della tua vita.
Oggi vorremmo scritto sulla tua tomba
quello che ciascuno di noi ha già scritto nell’ anima per te: “il Signore gli
donò un cuore grande, come la spiaggia del mare”.
[*] – Vescovo
di Pistoia
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[Domenica 13 gennaio 2013 | 18:22 - © Quarrata/news]
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