venerdì 4 gennaio 2013

CARIFI. TORNA ‘INFANZIA’ PROFUMATO DI RECENTE RISTAMPA

di LUIGI SCARDIGLI

«basterà annientarsi, invecchiare / per essere in quel punto /terribile» – Non chiedetegli spiegazioni: non potrà darvene, non vorrà darvene

PISTOIA. «L’hai comprato? Bene, è il miglior libro di poesie che abbia pubblicato, non ho altro da dire».
Solo all’incerta e claudicante immensa statura di Roberto Carifi avrei potuto consentire un avvio tanto minaccioso, prima di una recensione. Ma se si fosse accomodato, moralmente, per lasciarsi violare dalla mia infausta banalità, mi sarei irretito io, al suo posto. Giusto così e allora, dopo aver dato 12 euro (è il prezzo della raccolta) a Mauro Pompei, cotitolare con Alice (la moglie) della libreria Lo Spazio, in via dell’Ospizio, mi sono allontanato per ritornare a casa e gustarmi, nel rigore della mia sorda solitudine, Infanzia, la raccolta poetica dal 1980 al 1983 di Roberto Carifi, che Raffaelli Editore ha dovuto dare nuovamente alle stampe.

Il consiglio che mi permetto il lusso di dare ai miei stolti simili è quello di divorare, senza interruzione alcuna, il libro, leggendo, voracemente, in sequenza, ma senza pensare, la somma imperfetta delle sillabe distrattamente incollate tra loro.
Poi, giunti a pagina 94, decima sagra dell’ultimo quinto del volume, Caduti angeli d’infanzia, e senza aver minimamente divaricato le pagine del libro in modo da deformarne la naturale illettura, tornate indietro e assaporate nuovamente la melodia; prima di farlo vi suggerisco di annusarlo, il libro: alcune consonanti, sovente, emanano fluidi particolari, che si riescono a percepire nella loro incombente gravosità solo leggendo.
Stavolta, però, soffermatevi con maggior attenzione, cercando di liberarvi dal peso, immagino incombente, dell’autore; ed iniziate a dare un senso logico e sintattico alle sue emozioni. Operazione ardua, eufemismo che sostituisce, benevolmente, l’aggettivo impossibile, perché già nei Viaggi d’Empedocle, la percezione si rarefà con assoluta semplicità e la poesia che state leggendo assume il suo peso specifico, che dipende unicamente dalla vostra disponibilità a lasciarvi far male, solo se riuscirete a musicare quelle parole storte, infide e inagguantabili, che sfuggono a qualsiasi classificazione, ordine, precisione.
Ma non state nemmeno a pensare chi fosse e cosa cantasse, trent’anni fa, Roberto Carifi: le stesse tetre melodie di oggi, con la stessa sadica e lucida cattiveria e una previsione, incredibilmente avveratasi, di compassione.
Questa seconda lettura vi imporrà, sistematicamente, diverse impostazioni e tonalità: crederete che sarà sufficiente spostare l’angolo di lettura per avere la giusta e illusoria comprensione. Spesso vi congratulerete con la vostra intuizione, ma sarà un fuoco di paglia; il buio, alla riga successiva, che avreste preceduto con una qualsiasi forma di punteggiatura, vi scaraventerà di nuovo nel baratro e dovrete iniziare daccapo. No, non fermatevi, per riuscire a capire qualcosa occorrerà che arriviate nuovamente a pagina 94 e che poi, come se giocaste a monopoli, tornaste al via, per lanciare ancora i dadi.
Non vi spazientite. Andate a pagina 41, Nel giusto di questi anni, che è il prologo al secondo quinto della raccolta, Infanzia:

Il posto dei ciliegi, l’erba minuta
quando era in un luogo
qualunque dell’infanzia, solo
con le mille azioni
scaraventate nei cortili e tutti,
anche l’albero del noce,
danno un sentiero
che non risparmia nulla…
nessuno,
nessuno si salverà
nel giusto di questi anni
che strapparono il viso
e basterà annientarsi, invecchiare
per essere in quel punto
terribile,
prima della tua nascita.

Qui crederete che le nebbie inizino a diradarsi, ma vi invito a rileggerla; capirete, anzi, non capirete, per qual motivo pensavate che fosse alla portata della vostra percezione.
E non serve che, imbufaliti, vi dirigiate, con il volumetto in tasca, alla libreria di via dell’Ospizio per chiedere direttamente allo scompositore, che lì troverete, distratto, o forse già morto, comunque intento a fare altro, spiegazioni: non potrà darvene, non vorrà darvene.
Non saprebbe.

Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
[Venerdì 4 gennaio 2013 - © Quarrata/news 2013]

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