di Paolo Caselli [*]
Alcuni esempi di esperienze autenticamente
evangeliche – L’Eremo di San Pietro alle Stinche, la ‘Fraternità di Romena’ a
Pratovecchio, la ‘Casa ospitale’ di don Siro Butelli a Pistoia
PISTOIA. Poche ore fa stavo
ascoltando alcuni improvvisi di Schubert interpretati dalla più celebre pianista
russa del ’900, Maria Yudina,
grande artista indubbiamente, ma anche e soprattutto donna di elevata
spiritualità, libera da condizionamenti, che “osava” manifestare apertamente la
propria religione (cristiana ortodossa) sotto l’egemonia di Stalin, amica di Pasternak,
Shostakovich, padre Pavel Florenskij, la poetessa Marina Cvetaeva.
Di lei il celebre musicista russo Alfred Schnittke asseriva: «Esistono maestri diversi. Gli uni guidano ogni passo del discepolo, gli insegnano a camminare. Altri spalancano davanti al discepolo la porta che dà sul mondo, gli insegnano a vedere. Ma vi sono anche altri maestri, che si avventurano sull’unica via che si apre davanti a loro, quasi senza accorgersi di chi li segue e senza aver bisogno di chi li accompagni. Il loro fine è così remoto da non poter essere raggiunto, ma c’è sempre chi li segue, perché essi indicano l’essenziale: dove andare. Maria Yudina era un maestro “illuminato dalla fiamma costante di un fuoco inestinguibile, il fuoco di un esigente amore per gli uomini, che irradia un’ inesauribile forza spirituale”».
Molti celebri pianisti attuali, anche di chiara fama, seguono canoni rigidi, sono tecnicamente perfetti, ma privi di pathos interpretativo, non riescono ad unificare la mente e il cuore nelle loro esecuzioni.
Penso che questo eccessivo tecnicismo che
ha invaso anche il campo della “Grande Arte”, spesso dettato da ragioni
commerciali, sia una delle principali cause di degenerazione della nostra
società.
Sembra che l’emblema principe da venerare
sia oggi il “vitello d’oro” di biblica memoria, in tutte le sue espressioni:
ovunque generalmente prevale una visione utilitaristica ed opportunistica. La
nostra società è connotata da un “gigantismo tecnologico” cui purtroppo fa da
contraltare un “nanismo spirituale”. Questo mi diceva già quarant’anni fa padre
Giovanni Vannucci.
Eppure, nonostante tutto, continuo a vedere molti spiragli di ottimismo: anche nella comunità cristiana, al di là delle ufficiali posizioni e taluni atteggiamenti curiali, esistono esperienze veramente evangeliche, magari poco conosciute, ma che sono il vero fermento, il seme che perverrà a sicura maturazione nel tempo.
Eppure, nonostante tutto, continuo a vedere molti spiragli di ottimismo: anche nella comunità cristiana, al di là delle ufficiali posizioni e taluni atteggiamenti curiali, esistono esperienze veramente evangeliche, magari poco conosciute, ma che sono il vero fermento, il seme che perverrà a sicura maturazione nel tempo.
Voglio solo ricordare a questo proposito
alcune realtà con cui ho avuto rapporti diretti: l’Eremo di San Pietro alle
Stinche, a Panzano in Chianti, fondato da padre Giovanni Vannucci nel 1967, la Fraternità
di Romena a Pratovecchio in Casentino, guidata da don Luigi Verdi, la Casa
ospitale di don Siro Butelli a Pistoia. Esperienze diverse, ma unite dal comune
intento di realizzare i valori evangelici senza compromessi e farisaiche
commistioni.
Desidererei farle conoscere, iniziando con l’Eremo di San Pietro alle Stinche, un testo di padre Giovanni Vannucci:
Desidererei farle conoscere, iniziando con l’Eremo di San Pietro alle Stinche, un testo di padre Giovanni Vannucci:
Il 22 giugno 1967, insieme a un giovane
studente di medicina di Pistoia, venni per stabilirmi nella vecchia casa di San
Pietro alle Stinche basse. Una vecchia idea maturata nella sofferenza e nella
speranza trovava il suo compimento in questa forte solitudine. Da decenni,
insieme ad altri frati del mio Ordine, pensavo che una sola via può permettere
ai frati di ritrovare il loro antico vigore: vivere nella semplicità di una
vita laboriosa e silenziosa, dilatare il cuore in una sempre più vasta
comunione con le creature e il Creatore. Il nostro sogno è di rivivere nella
semplicità le grandi linee del monachesimo: il silenzio, il lavoro, l’ospitalità,
la comunione col visibile e l’Invisibile. In questi pochi mesi di vita alle
Stinche, abbiamo potuto toccare con mano l’impossibilità di un discorso nuovo
entro le vecchie strutture, abbiamo fatto la riprova del nove della eterna
validità della Parola: “Non si può mettere il vino nuovo negli otri vecchi”.
Abbiamo noi il vino nuovo? Non osiamo dirlo; ma l’aver sentito, con una
sofferenza di spirito e di carne, la verità della Parola di Cristo, costituisce
per noi una grande benedizione. Veramente il Monachesimo domanda uomini di
tempra fortissima. Abbiamo anche capito la vanità di tante parole in voga, come
“aggiornamento”, “rinnovamento”, “comprensione dei tempi”, eccetera, e scoperto
l’imperitura attualità della “metanoia” cui sempre ci richiama Cristo. Metanoia
è orientamento differente, visione delle realtà create con l’occhio dell’uomo
illuminato dalla luce divina, passaggio dalla consueta coscienza dell’uomo
normale alla sopra-coscienza dei figli di Dio, transito dal continuo variare
delle passioni umane nell’immutabilità di un amore cosciente per tutti gli
esseri. Questo è possibile solo a chi ha raggiunto la capacità di ascoltare il
silenzio.
La nostra giornata si organizza nelle novità di ogni giorno. Abbiamo dei momenti stabili che ne costituiscono la trama: la preghiera, il silenzio, il lavoro. Il lavoro è sempre nuovo e vario: coltivazione, riordinamento del terreno adiacente, accoglienza dei numerosi ospiti che ci portano benedizione e lavoro. Il dono più grande del nostro romitorio è il silenzio; vorremmo offrirlo a tutti con gioia, come realtà che ci è stata offerta e affidata perché la custodiamo e la doniamo quale fatto sacramentale.
Siamo agli inizi di una vicenda cui abbiamo donato tutti noi stessi nella fiducia di servire l’uomo. Non possiamo dire altro. Ogni giorno scopriamo, con l’aiuto di tutti, quello che siamo chiamati a compiere.
La nostra giornata si organizza nelle novità di ogni giorno. Abbiamo dei momenti stabili che ne costituiscono la trama: la preghiera, il silenzio, il lavoro. Il lavoro è sempre nuovo e vario: coltivazione, riordinamento del terreno adiacente, accoglienza dei numerosi ospiti che ci portano benedizione e lavoro. Il dono più grande del nostro romitorio è il silenzio; vorremmo offrirlo a tutti con gioia, come realtà che ci è stata offerta e affidata perché la custodiamo e la doniamo quale fatto sacramentale.
Siamo agli inizi di una vicenda cui abbiamo donato tutti noi stessi nella fiducia di servire l’uomo. Non possiamo dire altro. Ogni giorno scopriamo, con l’aiuto di tutti, quello che siamo chiamati a compiere.
[*] – Medico ospedaliero del Ceppo
Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
[Domenica 6 gennaio 2013 – © Quarrata/news
2013]
Nessun commento:
Posta un commento
MODERAZIONE DEI COMMENTI
Per evitare l’inserimento di spam e improprie intromissioni, siamo costretti, da oggi 14 febbraio 2013, a introdurre la moderazione dei commenti.
Siamo dispiaciuti per i nostri lettori, ma tutto ciò che scriveranno sarà pubblicato solo dopo una verifica che escluda qualsiasi implicazione di carattere offensivo e penale nei loro interventi.
Grazie.