di LUIGI SCARDIGLI
Romano, il comico è una rivelazione dell’ultima generazione – Lo ha ribadito ieri sera al Verdi a Firenze
FIRENZE. Il copione, Maurizio Battista, ha iniziato a scriverlo in
tempi non sospetti, da bambino, praticamente. Quando dopo essere stato bocciato
per la terza volta in prima media, la madre, che con il padre gestiva un bar a
San Giovanni, quartiere semicentrale della capitale, lo iscrisse ad una scuola
privata.
«N’ero stato bbono a esse promosso ’na vorta all’anno – racconta Maurizio Batista durante il suo
esilarante spettacolo, due ore e mezzo di nulla, di tutto, ma pieni di risate –
che mi’ madre me fece pijà er diploma in un anno solo, tre in uno: se c’aggiungete
altre tre piotte (piotta, centomila lire –
n.d.r.), disse er direttore de ’sta scola, je damo
pure ’a patente, ar regazzo»!
Questo è Maurizio Battista, un perfetto
autodidatta, ma non nel senso migliore che l’arte possa suggerirvi, ma in
quello naturale. Roma, del resto, è un cantiere sempre aperto di provocazioni,
suggerimenti, allusioni, soluzioni. Maurizio Battista ha saputo recepirne una
quantità industriale che custodisce gelosamente ma confusamente dentro una
valigiona, un vecchio baule in legno, dove ripone ritagli di giornale, appunti,
fotografie stampate di cognomi improponibili affisse sui citofoni degli enormi
condomini romani. La scenografia dei suoi spettacoli, ieri sera al Verdi di
Firenze, in via Ghibellina, così come sui palcoscenici di tutto il mondo
(romani se ne trovano ovunque e ovunque si ride dello slang metropolitano), è
questa.
Una serata unica, è il
titolo della rappresentazione che oggi pomeriggio, alle ore 16, chiuderà il
trittico teatrale iniziato venerdì sera. Una serata unica che potrebbe indurre
lo spettatore a pensare che l’autore si sovrastimi un po’ troppo e che invece è
la nuda fotografia dell’evolversi scenico: venerdì, lo spettacolo, è durato 1
ora e 40 minuti; ieri sera due ore e mezzo, oggi pomeriggio, chissà.
Ha girato il mondo, Maurizio Battista,
da quando la comicità si è accorta di lui, ma il suo mondo è esattamente dove è
nato, quel piccolo microcosmo formato dai pochi metri che separano il bancone
del bar dalla porta d’ingresso del locale.
«Ho imparato a fare il barista osservando mio padre all’opera
– dice poco prima di andare in scena, in un’intervista decisamente anomala e
soprattutto improbabile – e ho imparato a fare il comico osservando tutti
quelli che entravano nel bar. Certo, ho i miei maestri, che ho anche
conosciuto: Alberto Sordi, Aldo Fabrizi e anche divinità ancora vive, come Gigi
Proietti, ma io non ho studiato l’arte della scena; ho osservato tutto e tutti,
con curiosità e coinvolgimento e lo racconto alla mia gente, che sono il mio
pubblico, che sono i miei clienti. Non c’è alcuna differenza tra chi chiede un
caffè e chi paga il biglietto per vedermi a teatro: anzi, la differenza sta nel
prezzo; con 90 centesimi andate via contenti, qui, per dirvi soddisfatti, avete
sborsato 35 euro, mica noccioline!».
Il teatro Verdi di via Ghibellina è
pieno. Strano. A Firenze, i romani e soprattutto il romano, non è visto un
granché bene. Ma Maurizio Battista è un comico trasversale, giunto al successo
in modo genuino, un passa parola costante, nato nel bar di San Giovanni e
passato per i teatrini del sottobosco capitolino, fino alle grandi platee
nazionali ed internazionali. Il suo segreto, la sua fortuna ed è la cosa che lo
lascia intatto da contaminazioni inutili, devianti, è quello di essere rimasto
al bar, dietro il bancone, a sorridere ai suoi clienti.
Ha raccontato gli episodi, ormai
straconosciuti dal suo numerosissimo pubblico, del carrello della spesa, della
tragicità del sabato pomeriggio della visita obbligatoria al Supermercato, dei
viaggi, inutili, nelle grandi capitali europee; ha ribadito la sua incrollabile
fede giallorossa, che per un romano è un’altra cosa sulla quale si può ridere,
ma non scherzare; ha parlato dei suoi due figli, un poliziotto, 32enne e un’impiegata,
26enne, figli di questa generazione che Maurizio Battista stenta a capire, ma che
non riesce nemmeno a decifrare, consolandosi, sistematicamente, con la
genuinità dei suoi ricordi, la bellezza del suo passato. Due figli che lo
seguono con calore, senza risparmiargli critiche feroci, anche se via sms, sul
telefonino, ma a distanza: il padre non è un comico che possa inserire i suoi
pargoli nel mondo dorato dello spettacolo; il padre gira l’Italia raccontando
quello che era e quello che è diventato, senza dimenticare nulla e soprattutto
nessuno.
L’effetto divertimento naturale ha
suggerito anche ai rodati sistemi televisivi e cinematografici di prenderlo
nella dovuta considerazione: presto sarà su Raiuno, come inviato senza
autorizzazione nel mondo; anche sul grande schermo, vedremo prestissimo
Maurizio Battista all’opera, in una pellicola di grande nostalgia.
La memoria e il passato sono un pezzo
insostituibile del materiale scenografico degli spettacoli di Maurizio
Battista, ma sono anche e soprattutto un pegno, non sdebitabile: è un orfano da
parecchi anni e ai suoi genitori, quando può, racconta come gli sia andata.
Anche ieri sera, lo spettacolo, un’irriverente carrellata di stereotipi e
luoghi comuni che intasano le nostre comunicazioni, è finito con un piccola
poesia che Maurizio ha dedicato a sua madre e a tutte le mamme che non sono
riuscite a vedere i propri figli sistemati. Quando l’ha finita di leggere, dopo
due ore e mezzo di risate ed applausi a scena aperta, gli si sono inumiditi gli
occhi: gli succede tutte le volte che prova a raccontare la sua vita alla
madre. Anche quando è a teatro, naturalmente.
Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
Foto di Luigi Scardigli.
[Domenica 10 novembre 2013 | 12:15 - © Quarrata/news]
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