di Giuliano Ciampolini [*]
PISTOIA. Il 95% di sì nel
secondo quesito sull’acqua nei referendum del giugno 2011 (cioè nel quesito che
proponeva di togliere dalla tariffa la “remunerazione sul capitale investito”)
ha dato un’indicazione politica precisa e chiara al Governo, al Parlamento
nazionale, alle Regioni e ai Comuni proprietari dei servizi idrici: se non deve
esserci profitto, i servizi idrici devono essere tolti dal libero mercato e da
gestioni dove ci sono capitali privati.
L’attuazione di questa indicazione popolare quasi unanime, a mio parere, è
possibile solo tramite una legislazione nazionale che la renda concretamente
praticabile, per due semplici ragioni:
1) Perchè in mezza Italia la gestione dei servizi idrici (tra la fine degli anni
’90 e l’inizio degli anni 2000) è stata affidata ad Spa Publi/Private (cioè con
dentro una quota - di solito tra il 40 e il 49% - di capitale privato), tramite
contratti di affidamento gestionale della durata di 20/25 anni (quindi con
scadenze tra il 2020 e il 2025) che non possono essere bruscamente interrotte
per volontà dei Sindaci (perché questo comporterebbe inevitabilmente non solo l’immediata
restituzione della quota di capitale privato entrato nel capitale sociale dell’Spa,
ma anche tutte le penalizzazioni finanziare aggiuntive stabilite nel contratto
in caso di conclusione anticipata dell’affidamento per decisione unilaterale);2) Perchè gli oltre 15 anni di applicazione della Legge Galli (del 5 gennaio 1994) su acqua e servizi idrici (che stabilì di caricare gli investimenti solo sulla tariffa, cioè tramite mutui ottenibili dal sistema bancario caricando sulla tariffa la restituzione dei capitali e degli interessi conseguenti accettati al momento dell’ottenimento dei mutui) hanno dimostrato ampiamente che gli investimenti nel settore dei servizi idrici sono ridotti a poco più di 1/3 (circa 750 milioni annui) di quanto è necessario (circa 2 miliardi di euro annui): di conseguenza, essendo socialmente impossibile triplicare le attuali tariffe (per ottenere più risorse finanziarie destinate agli investimenti indispensabili per mantenere un moderno sistema di acquedotti, fognature, bacini idrici, impianti di depurazione dell’acqua distribuita e di potabilizzazione dell’acqua scaricata nelle fogne) sarà possibile avere i 2 miliardi annui indispensabili solo tramite il ritorno della finanza pubblica in questo “bene comune” fondamentale (indispensabile per la civiltà di un Paese, come lo sono la sanità e la scuola pubblica).
Il movimento che ha promosso i referendum del 2011 aveva questa consapevolezza ed infatti, nel luglio del 2007, presentò in Parlamento una Legge d’iniziativa popolare con queste finalità (firmata da oltre 400.000 cittadini italiani): è proprio questa legge nazionale che, finora, è mancata (per responsabilità dei precedenti governi Berlusconi/Monti e delle loro maggioranze parlamentari) per dare piena attuazione a quel 95% di sì nel secondo quesito referendario e che nei prossimi mesi potrebbe avere una risposta positiva se nel nuovo Parlamento si formerà una maggioranza politica che abbia una chiara volontà di dare, finalmente, piena attuazione all’esito referendario del 2011 (questo è l’unico modo per avere rispetto democratico di un pronunciamento popolare così chiaro).
Infatti, nel testo della Legge d’iniziativa popolare (oltre ad essere previsto come superare le difficoltà e gli ostacoli derivanti dalle gestioni affidate a Spa Publi/Private) sta scritto anche il ritorno della finanza pubblica negli investimenti nel settore dei servizi idrici e come fronteggiare - tramite la tariffa - i costi di gestione dei servizi idrici:
Articolo 8 (Finanziamento del servizio idrico integrato)
1. Il servizio idrico integrato è finanziato attraverso la fiscalità generale e specifica e la tariffa.
2. I finanziamenti reperiti attraverso il ricorso alla fiscalità generale sono destinati a coprire parte dei costi di investimento e i costi di erogazione del quantitativo minimo vitale garantito, come definito all’articolo 9, comma 3. Ad essi vanno destinate risorse come stabilito all’articolo 12.
Articolo 9 (Finanziamento del servizio idrico integrato attraverso la tariffa )
1. Con apposito decreto, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Governo definisce il metodo per la determinazione della tariffa del servizio idrico integrato per tutti gli usi dell’acqua, nel rispetto di quanto contenuto nel presente articolo.
2. Si definisce uso domestico ogni utilizzo d’acqua atto ad assicurare il fabbisogno individuale per l’alimentazione e l’igiene personale. La tariffa per l’uso domestico deve coprire i costi ordinari di esercizio del servizio idrico integrato ad eccezione del quantitativo minimo vitale garantito, di cui al
comma 3.
3. L’erogazione giornaliera per l’alimentazione e l’igiene umana, considerata diritto umano e quantitativo minimo vitale garantito è pari a 50 litri per persona. E’ gratuita e coperta dalla fiscalità generale.
4. L’erogazione del quantitativo minimo vitale garantito non può essere sospesa. In caso di morosità nel pagamento, il gestore provvede ad installare apposito meccanismo limitatore dell’erogazione, idoneo a garantire esclusivamente la fornitura giornaliera essenziale di 50 litri al giorno per persona.
5. Per le fasce di consumo domestico superiori a 50 litri giornalieri per persona, le normative regionali dovranno individuare fasce tariffarie articolate per scaglioni di consumo tenendo conto :
a) del reddito individuale;
b) della composizione del nucleo familiare;
c) della quantità dell’acqua erogata;
d) dell’esigenza di razionalizzazione dei consumi e di eliminazione degli sprechi.
6. Le normative regionali dovranno inoltre definire tetti di consumo individuale, comunque non superiori a 300 litri giornalieri per abitante, oltre i quali l’utilizzo dell’acqua è assimilato all’uso commerciale; di conseguenza la tariffa è commisurata a tale uso e l’erogazione dell’acqua è regolata secondo i principi di cui all’articolo 2.
7. Le tariffe per tutti gli usi devono essere definite tenendo conto dei principi di cui all’articolo 9 della Direttiva 2000/60 CE e devono contemplare, con eccezione per l’uso domestico, una componente aggiuntiva di costo per compensare :
a) la copertura parziale dei costi di investimento;
b) le attività di depurazione o di riqualificazione ambientale necessarie per compensare l’impatto delle attività per cui viene concesso l’uso dell’acqua;
c) la copertura dei costi relativi alle attività di prevenzione e controllo.
Inoltre, avendo consapevolezza che anche una gestione pubblica (quindi senza profitto privato) può sprecare (tramite una cattiva gestione, come successo anche in passato) una parte delle risorse finanziarie pubbliche derivanti dai cittadini che pagano le tasse, nell’articolo 10 di quella proposta di legge sta scritto:
“Al fine di assicurare un governo democratico della gestione del servizio idrico integrato, gli enti locali adottano forme di democrazia partecipativa che conferiscano strumenti di partecipazione attiva alle decisioni sugli atti fondamentali di pianificazione, programmazione e gestione ai lavoratori del servizio idrico integrato e agli abitanti del territorio. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, le regioni definiscono, attraverso normative di indirizzo, le forme e le modalità più idonee ad assicurare l’esercizio di questo diritto.” (Se questa indicazione avesse trovato una risposta positiva, tramite un’apposita legislazione, penso che le rappresentanze democratiche dei cittadini avrebbero dovuto pronunciarsi - essendo una concessione che va oltre quanto stabilito dal Contratto nazionale del settore - anche sulla proposta di dare un bonus di 100 euro ai dipendenti di Publiacqua con figli piccoli).
Ovviamente, l’indicazione del controllo dei cittadini sulla gestione dei servizi idrici, non è di facile soluzione, ma - appunto - potrà diventare possibile solo tramite una legge che si proponga con sincerità l’attuazione dell’esito referendario del 2011: una gestione dei servizi idrici tramite aziende pubbliche a livello di aree territoriali vaste (possibilmente corrispondenti ai bacini idrici naturali) e che siano controllate dai Consigli Comunali e anche da persone professionalmente capaci ed elette in modo democratico dai cittadini con questa precisa finalità.
Concludo ribadendo la mia convinzione che solo una politica in difesa dei beni comuni (che sia maggioritaria nel Parlamento nazionale) potrà dare piena attuazione all’esito referendario del 2011 (a mio parere è un’illusione pensare che esistano facili scorciatoie, tramite le vie giudiziarie e le sentenze dei Tar e della Corte Costituzionale sulle tariffe): è questo che potrà dare un aiuto decisivo anche al percorso che diversi Sindaci (tra questi anche quelli che si sono recentemente incontrati a Pistoia) stanno cercando di definire per cercare di contribuire dal basso alla ripubblicizzazione della gestione dei servizi idrici.
Infine, aggiungo che le tariffe su acqua e servizi idrici (stabilite dagli Ato in tante parti d’Italia e anche nell’area territoriale affidata a Publiacqua Spa), sono strutturalmente ingiuste, perché nelle varie fasce di consumo non tengono conto della composizione dei nuclei familiari di ogni utenza: cioè penalizzano le famiglie con più di due persone e in particolare quelle con 4, 5 o più persone (perché un’utenza con 5 persone, anche se l’acqua viene utilizzata da tutte in modo rigorosamente virtuoso e senza sprechi, ovviamente ne consuma molta di più di un’utenza con una o due persone e si trova a pagare tariffe molto più alte motivate solo dallo spreco irresponsabile di acqua).
Sulle tariffe strutturalmente ingiuste di Publiacqua Spa, nel 2011 ho fatto una mia analisi, da cui si possono dedurre anche le soluzioni per renderle più giuste
(vedi: http://www.altreconomia.it/site/fr_contenuto_detail.php?intId=2903 e anche l’allegato a questa lettera) e meno pesanti per le famiglie numerose.
[*] – Rappresentante Sel
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[Domenica 7 aprile 2013 | 10:59 - © Quarrata/news]
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