UN SINDACO DOLCE, serafico
QUASI FRANCESCANO
Si resta colpiti leggendo la risposta che il sindaco ha dato, sui commenti del suo blog, a Alessandro Cialdi, che lamentava l’ingiustizia inflìttagli dalla rudezza dell’assessore Gaggioli.
Si resta colpiti dalla dolcezza francescana e ispirata con cui la parola fluisce dalla bocca del nostro primo cittadino e piove nelle nostre orecchie, lieve e quasi silente come le famose parole di neve che Omero ci descrive come caratteristiche del parlare di Ulisse.
Anche Ulisse era un fine e persuasivo dicitore e incantava la gente: peccato che, in conclusione, fosse l’architetto della caduta di Troia, con la sua versatile e versuta intelligenza.
Il sindaco non conosce altra via che questa: parlare con la mitezza degli agnelli per poi assestare la codata dello scorpione. Infatti, se bene osserviamo, non dice mai a Cialdi guarda che mi è dispiaciuto, oppure sta’ certo che io ti stimo e non ho dubbi su dite, o anche tirerò le orecchie a Gaggioli.
No. Lei non lo fa.
Lei giustifica, invece, l’ingiustificato ingiustificabile evocando un episodio antico del 2007, e consolando Cialdi col dire: su, prènditela con quelli che ti difendono oggi, perché ieri quei cattivoni ti avevano offeso…
È la logica, questa, da vespro delle quattro in chiesa. È tipica di quella civiltà postbellica di àmbito rurale in cui le anziane del paese andavano alle funzioni pomeridiane per poi ciacciare e dire male, in scala, dei familiari, dei parenti, dei vicini, della gente del paese.
Questo sistema potrà attaccare con gli altri, ma non attacca, caro sindaco, con chi queste cose le ha vissute; con chi, come me – e non come lei – Quarrata l’ha vista crescere nel bel tempo della Fiorenza antica di Dante: un tempo pieno di problemi e da non mitizzare affatto, ma un tempo di certo sempre migliore di quello in cui ora lei, scelta come nostro primo cittadino, fa di tutto per farcelo desiderare ancora di più come se fosse una mitica età dell’oro.
Non basta, sindaco, ripetere a pappagallino quel che il nuovo comitato comunale le ha suggerito e le ha messo in bocca – probabilmente a forza – per riprenderla per i capelli lungo una strada come quella percorsa, in montagna, sullo sgrìmolo dei burroni, dalla mula testarda che porta don Abbondio al castello dell’Innominato.
Da tutto, nelle sue parole, si avverte palpabilmente che quel che lei dice è un puro esercizio retorico; il compitino a cui era, forse, abituata quando frequentava la scuola media del Poluzzi nel 68.
Dinanzi ai propri errori, il primo segno di umanità e dignità – e, se vuole, di cristianesimo – è ammetterli senza tanto tergiversare e senza invitare gli altri per primi ad abbassare i toni (che è un bel segno della superbia sottesa) con l’accusarli di aver fatto peggio di quanto abbia fatto il suo sostenuto e spalleggiato Gaggioli.
Questa nota stonata nel suo Cantico di frate Sole altro non fa, sindaco, che confortarci nel credere che non dobbiamo né innalzarle monumenti per il suo professato rispetto della legalità, né chiedere, tantomeno, che lei sia fatta santa subito.
Edoardo Bianchini
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