Ho sempre una certa riluttanza quando mi accingo a maneggiare le notizie che hanno a che fare con l’impero e la Roma dell’impero. Un’inquietudine che deriva dalla certezza che dopo ogni impero arriva inesorabilmente anche la sua caduta.
Il Tirreno oggi ha piazzato Albero Nieri fra chi sale nel cartellone dei vip: e lo ha fatto anche con una certa dose di esaltazione e di trionfalismo, come del resto si addice al vero potere imperiale.
Ma il titoletto Nieri, prove di futuro potrebbe essere un’arma a doppio taglio. Quale futuro? Quello dell’espansione annunciata da Nieri neppure sei mesi fa, con impieghi barocchi di capitale e un aumento di 109 posti di lavoro, o piuttosto quello di questi ultimi 60 giorni, in caduta libera, con accordi al 30% nei confronti dei fornitori e – soprattutto – con la trasformazione dell’azienda da quarratina in romana e il suo trasferimento in una capitale che, da sempre e tradizionalmente, sembra essere un’enorme ameba capace di fagocitare tutto e tutti?
In tutta onestà, dinanzi a questi fatti, di cui nessuno ha dato tempestiva notizia tranne noi – vicende e vicissitudini su cui neppure il sindaco di Quarrata ha fatto parola, presa com’è da tutto fuorché dai problemi seri e reali della sua gente –, il primo pensiero che si affaccia alla coscienza è che questa azienda, che è stata un faro per Quarrata, stia, come si dice, per spiccare il volo e per non tornare mai più.
La prognosi non è, insomma, almeno al momento, favorevole. E forse le vicende della Nieri meriterebbero più preoccupata attenzione che ammirazione per la voglia del suo titolare di esplorare strade nuove.
Anche perché spesso gli esploratori finiscono per perdersi in lontane regioni inesplorate.
e.b. blogger
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