di EDOARDO BIANCHINI
HO LETTO anch’io, ieri – ma solo
il titolo –, questo articolo di Beatrice Faragli.
Non sono andato più in là, perché il
contenuto, oltre a farmi indignare, mi ha rinnovato uno dei dolori più profondi
della mia vita.
Ma evidentemente non si sfugge al
destino: e stamattina Riccardo Chiti, figlio di mio cugino Romano e nipote di
Niva Martini per parte di madre, mi ha riportato alla realtà – e indietro nel
tempo di ben 12 pesantissimi anni.
Era il 24 ottobre del 2001 quando,
verso le 21, dopo aver fatto visita a mio padre, che si stava spegnendo al
Ceppo per un male che non perdona, lo salutai per andarmene a cena.
Poco più di un’ora dopo una telefonata mi
avvertì di tornare in ospedale.
Capii subito che era spirato, anche se
il medico non volle dirmelo apertamente.
Giunsi poco dopo. Vidi mio padre, ma
non vidi più la catenina d’oro che aveva al collo un’ora prima. La fede,
invece, era ancora al dito: ma perché non gli usciva – o altrimenti qualcuno
avrebbe portato via anche quella.
Una breve ricerca, nessuna traccia.
Come se quei 50 o 60 € d’oro usato si fossero volatilizzati da sé.
La catenina la avrei voluta per me, per
portarla sempre al collo e fino a dopo di me.
Cosa fare? Denunciare?
Avevo solo gli urti di vomito, perché
episodi come questi mi convincono, da vicino e senza remissione, che Dio non
può esistere.
Vomitai e mi guardai bene dallo sporgere
denuncia contro anonimi.
Il vero danno era un altro: la perdita,
irrimediabile, di un uomo intelligente e specchiatissimo, il più grande
falegname di Quarrata e dintorni.
Il furto della catenina era solo un
affronto contingente figlio dell’insopportabile natura umana.
Capisco e approvo, però, il figlio
della signora truffata, peraltro cugina diretta di mia madre.
Se Mario Petracchi va avanti e
denuncia, anche se non ho fiducia in certe operazioni di giustizia, sono
convinto che faccia bene.
Se non altro fa vedere quant’è
squallida certa umanità.
Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
[Venerdì 2 agosto 2013 | 09:08 - © Quarrata/news]
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