domenica 28 ottobre 2012

ROCCO DE ROSA: «SONO LA MIA MUSICA»

di Luigi Scardigli

Nella cornice della Màgia – La musica non è qualcosa che si vende, ma qualcosa che aiuta a sopravvivere con qualche affanno in meno

QUARRATA. Chi sei? Gli ho chiesto prima che si esibisse. Sono la mia musica, mi ha risposto, dopo averci pensato un po’. Ho avuto il piacere di ascoltare appena i primi due brani, del suo spettacolo, quello che Rocco De Rosa ha allestito, in compagnia, invadente, del solo suo pianoforte, nel pomeriggio alla Magia di Quarrata. Prima di andarmene, però, dopo aver sorseggiato in sua compagnia una tazza di the e fumato una sigaretta, Claudia Cappellini – un’amicizia, la sua, della quale mi fregio costantemente – mi ha lasciato un suo Cd, che ho ascoltato in macchina, tornando verso casa.

E ho ripensato alla chiacchierata che abbiamo fatto prima della sua esibizione e ho pensato che da buon lucano qual è, Rocco, è veramente la sua musica. Viene da Oppido Lucano – anche se vive, per forza di cose, a Roma –, un pesino sperduto tra le impervie ma ospitali montagne, dove i viaggi, spesso, si fanno con la testa, perché è difficile e caro, farlo diversamente, dove in compenso, nei primi anni ’80, la robusta e nutrita comunità musicale indigena chiese ed ottenne, dall’Amministrazione, l’intitolazione della piazza principale del paese a Demetrio Stratos, inimitabile vocalista degli Area.
«La gente stenta a crederci che possa esser vero – mi racconta Rocco De Rosa, in una delle tante meravigliose stanze della Magia, adibite, per la circostanza, a camerino –, ma siamo l’unica realtà urbana nazionale che può vantare di avere una piazza con il nome dello straordinario Demetrio Stratos».
Torniamo alla sua musica, che è di quella che devo raccontarvi. Certo, durante la conversazione mi ha confidato che tredicenne, ai primi approcci lessico-musicali, la sua divinità si chiamava Ian Hammer, tastierista della Mahavisnue Orkestra; soprattutto per l’uso vocale che faceva del suo strumento: dunque, facilissimo tirare conclusioni affabili e laudi recensorie. In sala, tra una folla anziana di appassionati alle vicende locali, più che alla sua musica, c’è anche Riccardo Tesi, uno strumentista di casa e di livello, che ha collaborato con Rocco ad una delle sue registrazioni, Rotte distratte.
«Sono stato, in gioventù, uno strumentista di formazioni rock progressiv e capisci bene che a Oppido Lucano, quel genere musicale, più che futurista, sembrava blasfemo. Poi sono cresciuto e ho continuato a lasciarmi contaminare da tutto il buono che mi passava vicino, fino a quando ho preso la decisione di non uccidermi in faticosissimi allenamenti. L’ho fatto quando un mio amico, Pupi Avati, mi ha espressamente detto che avevo un gran culo nel riuscire a fare, quasi spontaneamente, quello che per gli altri sarebbe stato frutto solo di studio matto e disperatissimo».
È un mix, la musica di Rocco De Rosa, che prende spunto da origini tzigane per poi cullarsi, con scandite e cadenzate oscillazioni, tra Piazzolla e Metheny, tra il folk e quella forma di jazz che è meglio catalogare tra la world music. Ma è il suo calore, umano, dunque professionale, quello che poi si materializza sui tasti dello strumento, certo, a fare la vera differenza; un’armonia silenziosa, ma sofferente, una muta protesta contro tutto e tutti, immersa in una poetica distratta, una forma primitiva di commercio, dove la musica non è qualcosa che si vende, ma qualcosa che aiuta a sopravvivere con qualche affanno in meno.

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Foto di Luigi Scardigli.
[Domenica 28 ottobre 2012 - © Quarrata/news 2012]

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