On. Sandro Gozi |
Due parole su qualche bischerata da
facebook
Una volta i comunisti del Menga
dicevano che, quando uno non ha altri argomenti, non discute, ma passa
direttamente alle offese.
Ma quelli, nonostante tutto, erano Comunisti
Galantuomini, di quelli veri, non piccoli narcisi cresciuti, dall’asilo in su
(quello delle monache e dei democristiani smessi), con i giochini della Chicco
e poi con la scuola della Lettera a una professoressa: quelli cioè che
ora sono in Parlamento, eletti magari francescanamente in Umbria fra gli ulivi,
perché ce li ha messi mammina o babbino, che li hanno fatti
crescere all’ombra dei piccoli gesti di superbia cattolica dopo averli –
chissà? – piazzati in qualche Università, magari del Sud, mentre gli
altri (i vecchi di oggi: che loro non sopportano e che esoderebbero
ancor più e ancor peggio della Fornero) facevano crescere – con il loro lavoro
– la propria famiglia e quest’Italia che loro, da pseudodeputati di sinistra,
hanno assassinato dando, in questo, una buona man forte al Berlusca.
Eppure eccoteli lì: a sparar sentenziòle
e caccole come dei piccoli voyeur che, dal buco della parete di facebook,
osservano le donnine che si spogliano nella cabina accanto.
Loro non escono allo scoperto: non
ammettono critiche e preferiscono – autoeroticamente – restarsene su fb, fra di
loro, in una sorta di buio complice e di ambiente protetto (come i loro
antenati in parrocchia o nel confessionale) che si esprime solo con frasettine
preconfezionate (faccine, emoticon, mi piace etc.) come i “tortellini al
cavallo da corsa” delle multinazionali che loro stessi hanno favorito con tutte
le privatizzazioni possibili e immaginabili per far traboccare la
globalizzazione.
È la loro cultura, è la loro grandezza, è il loro cervello, è il loro Credo.
È la loro cultura, è la loro grandezza, è il loro cervello, è il loro Credo.
Finesse démocratique |
Gozi –
che ho il piacere di non conoscere –, così
sicuro di sé con quel che piglia da Onorevole, se può e ce la fa, dovrebbe
cercare di rendersi conto del fatto che una volta o l’altra dovrà partire
dall’asilo per crescere. Sì, proprio partire e non ri-partire.
Perché è lì che è rimasto fermo, povero
piccolo enfant prodige sorridentemente mai cresciuto, da quando i vecchi
Carneade, pararottamatori e rottamandi (come scrive lui, novello Orazio
satiro), pagavano le tasse affinché dei “giovini di buone speranze” come
lui arrivassero a ciucciarsele, oggi, con la loro proboscide di insopportabile,
sfrontata prosopopea da esseri divinamente e pretescamente superiori che non
tollerano di poter essere contraddetti.
Poveri i suoi studenti. E poveri i suoi elettori.
Carneade
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[Venerdì 22 febbraio 2013 | 19:37 - © Quarrata/news]
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