di LUIGI SCARDIGLI
PISTOIA. Le coppie scoppiano da sempre; da qualche tempo hanno solo
preso consapevolezza, ma non occorre scadere nel trash e nell’inevitabile,
prima che nell’ineludibile, per descrivere le implosioni che ognuno soffre
cospetto di un’educazione morbosa sofferta e di impostazioni sociali alle quali
si è dovuto per forza di cose ubbidire, altrimenti si sarebbe stati
automaticamente estromessi dalla casta
umana, quella che ci tiene in piedi e ci fa interagire, soprattutto, con i
normodotati.
Sto parlando a Giuseppe Tesi, regista
de L’impero dei sensi di colpa, in
scena, ieri sera (stasera la replica, sempre alle ore 21), al Melo’s, grazie
agli sforzi teatrali profusi da Priscilla Baldini, Henuj Bartolini e Alessandro
Paiano, un triangolo sociale nel
quale ci si possono seraficamente, seppur di nascosto, riconoscere in molti.
A cominciare da quella omosessualità
latente che perseguita il nostro eterosessaulismo e che conteniamo a stento,
seppur sorretti dai ricatti religiosi e dalle nostre famiglie, che ci legano e ci salvano da quella
dissoluzione alla quale vorremmo abbandonarci, con il solo biglietto di andata.
Ma tutte queste sovrastrutture, che
appesantiscono la nostra deambulazione, ma che garantiscono anche di
legittimare la nostra creatività, si possono tranquillamente denunciare con
voce sommessa e con un frasario e un vocabolario che induca lo spettatore ad
uno sforzo d’immaginazione, senza cioè spiattellargli sul viso, sulle orecchie
e su bocche stolte sulle quali sono abbondate le risate, decisamente fuori
luogo, il nome dei vari attributi.
Non è insomma con un cazzo o con un pesciolino che scivola nella bocca che si issa la bandiera dell’indipendenza,
della libertà, dell’emancipazione: occorre, credo, un maggior coraggio
quotidiano che si può e si deve rappresentare con soggetti molto più facilmente
reperibili nella vita che viviamo tutti i giorni e nella quale ci càpita di
rado, ma molto di rado, di incontrare cubisti ex pornografi.
E soprattutto occorre liberarsi, una
volta per tutte, dal macigno ossessivo e oppressivo della religione, che è il
vero ostacolo alla creatività di ognuno di noi, anche per quelli che non hanno
l’ardire e la fortuna e la competenza di poter far salire su un palco di un
teatro una loro compagnia.
Però, caro Giuseppe, continua a fare
teatro: hai degli spunti interessanti e una visione romantica e teatrale,
seppur repressa, della vita, un’angolazione artistica che serve a noi
spettatori come a te, protagonista.
Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
Foto di Luigi Scardigli.
[Sabato 23 febbraio 2013 | 16:15 - © Quarrata/news]
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