mercoledì 3 ottobre 2012

UFFICI STAMPA E INTERVISTE A PAGAMENTO, QUALE FUTURO PER L’INFORMAZIONE PUBBLICA

Intervento di Mauro Banchini

FIRENZE. Folgoranti, ieri sera su “Report”, quei minuti dedicati a mostrare come funziona, ahimè troppo spesso, il meccanismo delle interviste ai politici. I parlamentari più importanti (in genere sempre quelli: non più di una ventina di persone) escono un attimo, trovano telecamere servizievoli; in genere manca il giornalista (non ce n’è bisogno); fanno la loro battuta, che finirà nel pastone, ripetendola varie volte se alla prima non è venuta bene; e se per caso, poi, c’è lì attorno un giornalista che vuole approfittare per una domanda vera, svicolano alla grande. E Milena mostrava il Tg1! È stato facile, ieri sera, collegare questo con la questione delle interviste “a pago” chieste dai gruppi politici pronti, pur di far apparire i loro membri, a pagare emittenti televisive a loro volta disposte a chiudere un occhio o due su vari aspetti (fra i quali, per i giornalisti, anche quelli deontologici).
Personalmente, da cittadino-telespettatore ho sempre avuto sana diffidenza e scarsa frequentazione per quegli spazi televisivi, ma anche radiofonici, che ospitano certe comparsate istituzionali. Così come non leggo mai, sulla carta stampata, i cosiddetti “redazionali”, altrettanto giro veloce canale davanti all’altra pratica. Anzi: mi piacerebbe sapere se c’è qualcuno che le guarda, queste trasmissioni di cosiddetta “informazione istituzionale”, al di là dei politici “intervistati” e dei familiari.
Capisco le esigenze delle emittenti. E so bene che tutto è in regola con la legge quando, in sovrimpressione (ma, per me, dovrebbe restarci sempre. Per l’intera durata del programma) compare l’avvertenza che non si tratta di uno spazio giornalistico ma che, appunto, si è in presenza di uno spazio comprato. Ho tuttavia l’impressione che certe modalità di “informazione istituzionale” andrebbero ripensate: anche perché a giro c’è pure una grande sete di informazione vera e il giornalismo, grazie anche al web, può oggi contare su dati e informazioni un tempo impensabili.
Giusta la recente iniziativa dell’Ordine di fare una indagine su Regione, Province e Comuni capoluogo per verificare quanto sia diffuso, anche in Toscana, il fenomeno delle interviste pagate, dunque non giornalistiche. Opportuno ricordare, anche nella civilissima Toscana, la differenza tra “informazione” e “comunicazione” nonché l’esistenza di una legge, la 150/2000, pure incompleta e forse superata, ma esplicita su “fondamentali” che le istituzioni pubbliche, purtroppo anche in Toscana, spesso ignorano. In quanti enti locali, medio-piccoli, i “comunicati stampa” li mandano i sindaci o le segreterie? In quanti enti locali, anche grandi, il “portavoce” sostituisce l’ufficio stampa? In quante realtà locali ci si rende conto di quanto sia strategico tenere informati i cittadini (magari, se di piccole dimensioni, attraverso uffici stampa associati) su come viene esercitata la delega?
Lo scrivo proprio perché, ormai da una vita, lavoro in Uffici Stampa di un ente pubblico importante come la Regione. Con luci e ombre (non nascondo le ombre) il nostro lavoro – quello degli uffici stampa di enti pubblici – produce, ad esempio, una mole (anche troppo estesa) di comunicati e di conferenze stampa: queste ultime, salvo rare eccezioni, ormai sono diventate uno strumento malgestito un po’ da tutti; i primi sovrabbondano gli spazi sempre più limitati che i media tradizionali hanno a disposizione. Cosa diversa per i media “nuovi”, per l’oceano del web.
Scrivo, semplicemente, per capire se ci interessa (come categoria intera) una riflessione anche autocritica sull’informazione dalla politica e dai palazzi istituzionali: come, noi degli Uffici Stampa, diamo le notizie e come i media esterni le riprendono, le approfondiscono, ci scavano dentro, le rilanciano. Ma anche come i politici, in un contesto di (assai pericoloso, per me) populismo proclamato e praticato, intendono il loro ruolo di eletti (o di … nominati) nei confronti dei cittadini.
Perché non tornare, tutti quanti, alla semplicità e alla forza dei rispettivi ruoli? Con un ceto politico che sappia, perché no, uscire dalle trappole della visibilità mediatica; con un ceto giornalistico che, perché no, torni a fare il suo mestiere (ad esempio le domande, ad esempio gli approfondimenti) sapendo di dover lavorare in favore del diritto dei cittadini a essere informati; con editori capaci di capire che se la notizia non è una “merce” come le altre, è però anche vero che con le notizie si possono tenere in vita aziende sane; con istituzioni che si rendano disponibili a sostenere, in modo trasparente, corretto ed efficace, esperienze (anche innovative) di libera informazione; e con cittadini capaci di non perdere in modo definitivo (ma già siamo purtroppo molto avanti) la consapevolezza circa l’importanza di evitare le lusinghe, incrociate e molto bipartisan, dei vari populismi.
[Fonte: Ast-Associazione Stampa Toscana,1 ottobre 2012 – 15:07 - vedi]

La riflessione del collega e amico Mauro Banchini apre una serie di interrogativi molto inquieti anche nella nostra Provincia, sia nei confronti dei suoi organi istituzionali che in quelli dell’area dell’informazione.
Il giornalismo è strozzato tra chi comanda e chi deve sopravvivere: mentre chi dovrebbe vigilare – sempre più spesso – interviene disconoscendo il contenuto dell’art. 21 della Costituzione.
Obiettivamente la preoccupazione non è troppa se si pensa – anche per un solo momento – alla vicenda Sallusti...
e.b. blogger
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[Mercoledì 3 ottobre 2012 - © Quarrata/news 2012]

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