PISTOIA. Se a Pistoia Gesù dovesse scegliere un luogo, tra tutte
queste geometrie di chiese e volumi eleganti, tra tutti questi chiostri di
porticati e colonne, per parlare del suo magistero, sceglierebbe senz’altro il
chiostro di San Benedetto.
Qui il pigolio delle galline richiama
subito alla mente il gesto del prendersi cura per antonomasia, quello della
chioccia che raccoglie i pulcini sotto le ali, quello cioè che Gesù intendeva
compiere e trasmettere agli uomini.
Le galline di Don Alessandro Marini
sono di razza mugellese e Livorno, quella
tipica razza che permette produzioni di numerose uova biologiche di filiera
corta a km zero meglio di qualsiasi altro precetto ecologista.
Nella foto si può cogliere il concitato
momento in cui don Alessandro offre una gustosa merenda ai pennuti: rovesciando
semplicemente la terra col badile i lombrichi cessano il ruolo di esseri
fondamentali del creato – per la funzione ecologica di “manutenzione” del suolo
e della chiusura dei cicli biogeochimici – e per divenire vere e proprie
prelibatezze di cui abbuffarsi.
Ci sono poi nel chiostro le quaglie con
il loro canto sublime, come quelle che furono mandate – assieme alla manna – agli
israeliti nel deserto del Sinai: anche queste semplici presenze, legate a
vicende e valori evangelici, sono capaci di comunicare quegli stili di vita
sostenibili che una chiesa, autenticamente mater
et magistra, pratica per la tutela del creato e degli uomini che lo
popolano.
Si tratta infatti di piccoli gesti che
chiunque, nel suo piccolo – pertinenze di
condomini, parrocchie, associazioni, ambienti rurali – e con un minimo di spazio disponibile, potrebbe (e dovrebbe
essere incentivato a) sviluppare. Quale migliore esempio di populorum progressio e spirito di
cooperazione nell’odierno tempo di crisi per evitare l’esaurimento delle risorse
sempre più scarse e degradate?
Nel chiostro la biodiversità,
di cui spesso si sente parlare in maniera fin troppo vacua e inconsapevole, è
arricchita, come nell’abbazia di Montecassino, da tortorelle e colombe che
rappresentano la sorella di san Benedetto, Santa Scolastica, la cui anima venne
vista salire in cielo dal monaco fondatore della Regola appunto sotto forma di bianca colomba.
L’atmosfera è impreziosita poi dalla
presenza di un mandorlo,
primo a fiorire in Israele e simbolo della speranza e del vigilare nella
visione del profeta Geremia. Altre varietà come l’ulivo, la vite e il fico
contribuiscono sicuramente a disegnare quella metafora del paradiso, la civitas Dei, che sono gli orti-giardino
dei complessi monastici di ieri e i più moderni orti condivisi di oggi.
Nella nostra vita odierna, che è un
continuo migrare verso un mondo perduto e disorientato di frammenti che non
sappiamo più utilizzare, chi è credente potrà forse ritrovare nel chiostro di
San Benedetto l’attenzione di Dio ai frammenti: agli occhi, ai gesti, ai
percorsi, a come si fanno e si dicono le cose, al granello di senape, alla
pecora perduta, allo spicciolo... al gauduim
et spes della comunione degli uomini col prossimo e col creato.
Ugualmente chi è più laico troverà
nella grazia squisita dell’ antico chiostro olivetano un vago anelito di
trascendenza, la ciclicità delle stagioni e del tempo e tutto lo stupore verso
la polvere di stelle che nei millenni si aggrega e si combina con dolce e
malinconico mistero.
Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
[Sabato 22 giugno 2013 | 12:20 - © Quarrata/news]
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