di LORENZO CRISTOFANI
PISTOIA. Frammenti di identità perduta, si potrebbero definire, quelle ex chiese che
spuntano quasi come funghi, passeggiando in città e a cui non si dà nemmeno tanta
importanza, nonostante appartengano, quasi da un millennio, al paesaggio urbano.
Tra le testimonianze del romanico pistoiese, quella serie di edifici dall’abside
in marmo calcareo durissimo e dal campanile a vela, c’è sicuramente Santa Maria
Nuova, che rientra a pieno diritto nel patrimonio
monumentale della città tra restauro riuso e abbandono.
Patrimonio, vale la
pena ribadirlo, che si potrebbe in prima approssimazione suddividere in tre grandi
categorie: complessi conventuali, edifici di culto non più facenti funzione e palazzi
gentilizi dell’aristocrazia locale.
Fanno compagnia, alla chiesetta tra via Laudesi e l’imbocco di Corso Amendola,
solo per rimanere al periodo romanico e accomunate dalla medesima sorte di sottoutilizzo
e degrado, le chiesette di San Jacopo
in Castellare, San Salvatore e San Pier Maggiore.
Ad oggi l’unica struttura ecclesiastica che abbia ritrovato una qualche forma
di riuso è Santa Maria del Giglio, in un omonimo vicoletto che porta sulla Sala,
riadattata curiosamente a ristorante, cosa quanto meno caratteristica e che permette
la contemplazione degli antichi lineamenti, compreso l’altare di-vino.
Per tutto il resto delle chiese, romaniche e di altre epoche – anch’esse non
poche – complessi conventuali e nobili dimore, non è ancora iniziata quella seria
riflessione che invece dovrebbe svilupparsi proprio ora che è stato costituito l’ufficio
per la città storica, un ramo della macchina comunale teoricamente fondamentale
nella sfida più grande che si pone per Pistoia: la programmazione generale di funzioni
e interventi particolari per mantenere il carattere della città antica in equilibrio
con gli sviluppi della modernità.
Il blog ha già lanciato qualche spunto, con riferimento al ruolo strategico
che avrebbero le fondazioni bancarie e tornerà poi sul tema; per il momento, pour parler, due propostine immediatamente
spendibili senza durare fatica potrebbero essere: far adottare un monumento locale
ad una società o gruppo di raffinati mecenati americani, sul modello della villa
fiorentina I Tatti (vedi), presa in carico con un progetto specifico
dall’Università di Harvard, o inserire la generica struttura pistoiese in questione
nel network toscano –Ar.te. Sal.va. – che si occupa di valorizzare ed elaborare
soluzioni per simili casi specifici dei beni architettonici (vedi).
Si conclude con due brevi battute sulla chiesa da cui siamo partiti, oggi di
proprietà di Enrico Flori, un imprenditore pistoiese
sensibile al tema delle ricchezze artistiche cittadine che è doveroso ringraziare
per aver concesso qui la pubblicazione di immagini inedite.
Si segnala che la chiesetta, frequentata
dal corpo di guardia della fortezza S. Barbara, per cui detta anche dei Bombardieri,
fu oggetto di uno straordinario patrocinio artistico da parte di un castellano della
Fortezza del Seicento.
Si badi bene che all’epoca l’incarico
di castellano, conferito direttamente dal granduca, era probabilmente la massima
responsabilità che esistesse a Pistoia, se non altro per il fondamentale ruolo di
controllo dei valichi appenninici affidato al fortilizio militare.
Non si dimentichi che l’architettura
militare è quella che più di altre, tra mura, bastioni e fortezze, ha caratterizzato
l’identità urbana e le rappresentazioni iconografiche delle città toscane.
Il castellano era Girolamo Emanuelle
Paleologo e lasciò un blasone, ancora visibile a fianco dell’altare principale,
raffigurante un’aquila bicipite nera, simbolo inequivocabile di un’ascendenza imperiale.
Dopo questo periodo di fasti e munificenza
si arriva a fine Ottocento, quando il consiglio comunale intendeva demolirla
affinché la via Laudesi potesse arrivare direttamente in quella che oggi è piazza
d’Armi: non vennero trovati i soldi per l’immonda spianatura e, per fortuna, la
chiesa rimase in piedi. Ha resistito poi alle bombe dell’ultima guerra, esplose
nei paraggi, che hanno però causato delle crepe ancora oggi visibili sui muri perimetrali.
Infine è sopravvissuta anche a quei due illustri
assessori della passata legislatura, l’architetto
Riccardo Pallini, che – come è stato scritto
da voce autorevole – sarà ricordato nella storia di Pistoia per non
essersi accorto che gli appalti pubblici del Comune erano quasi sempre truccati
e inoltre per la realizzazione vergognosa e fuori norma della Porta cosiddetta Nuova,
e l’avvocato Silvia Ginanni, che sarà ricordata – lo scriviamo ora
noi – per aver
tenuto in spregio la tutela dei beni architettonici ed i regolamenti sui manufatti
specialistici, come amaramente si evince dagli appartamenti oltremodo ravvicinati
alla chiesa michelucciana della Vergine e dalla vergognosa devastazione urbana,
tra le tante, dei giardini storicizzati di Via Abbi Pazienza e del palazzo Sozzifanti/Buonatalenti.
Nel 2008 sono venuti alla luce, grazie
al restauro di Giuseppe Gavazzi, dei bellissimi affreschi probabilmente di scuola
giottesca. Qui nella foto si vede l’immagine carnale e avvenente di una donna bionda
che, quasi sensuale, fissa languidamente l’osservatore come a volerne accendere
il desiderio.
Il desiderio di contemplazione intima
ed esistenziale ovviamente, cosa avevate capito?
Cliccare sull’immagine per ingrandirla.
Foto Q/n.
[Domenica 16 giugno 2013 | 10:49 - © Quarrata/news]
Molto bello. Grazie.
RispondiEliminaUna precisazione: la proprietà della chiesa non è mia(Enrico Flori)ma dei miei parenti.
RispondiEliminaL'ho letto un po' in ritardo ma mi e ' piaciuto molto.
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